di Zuhair al Jezairy (internazionale.it, 8 novembre 2021)
Ancora una volta la musica è entrata nell’arena del conflitto politico tra le autorità religiose al potere in Iraq e la gioventù moderna del Paese. Il Festival internazionale di Babilonia, lanciato per la prima volta nel 1987, era ormai nelle fasi finali dei preparativi. L’evento di cinque giorni doveva tenersi ogni anno, ma si era interrotto dopo il 2003 a causa della guerra statunitense e del peggioramento delle condizioni di sicurezza che ne sono seguite. All’improvviso, appena pochi giorni prima dell’apertura dell’edizione di quest’anno, prevista per il 28 ottobre, il governatore di Babilonia, Hassan Mandil, ha ordinato di cancellare gli eventi musicali, proprio mentre artisti iracheni e del mondo arabo arrivavano in città per partecipare al concerto.
I partiti politici con le loro milizie minacciavano di organizzare un presidio per impedire ai musicisti e ai cantanti di raggiungere i palchi della “città santa”, anche se non c’è alcun santuario religioso nella città o nei suoi dintorni. I giovani iracheni moderni, che aspettavano con entusiasmo l’evento e i suoi concerti, in risposta hanno organizzato una campagna di protesta contro la decisione del governatore. La tensione è cresciuta tra gli amanti della musica e chi voleva impedire i concerti. Nei suoi ultimi giorni in carica il primo ministro Mustafa al Kadhimi ha preso la coraggiosa decisione di far proseguire il festival con le sue attività musicali, inviando forze speciali a proteggere gli artisti e i loro ospiti. Tutti i palchi del festival sono stati invasi da giovani con le bandiere dell’Iraq che gridavano: “Le fiamme della protesta dell’ottobre 2019 non si spegneranno!”.