
di Viviana Mazza (corriere.it, 10 marzo 2025)
La regola numero 94 (su un totale di 140) nel bestseller di Roger Stone Stone’s Rules è “Nothing is on the level”, nulla è quel che sembra. «Tutto è truccato», ci spiega l’autore, che è stato il primo stratega politico di Donald Trump e, sin dagli anni Ottanta, ha insistito perché corresse per la Casa Bianca: è stato il suo primo stratega elettorale, dopo una lunga carriera iniziata con Richard Nixon.
A 72 anni, origini italiane, stile dandy, la testa di Nixon tatuata sulla schiena e i 100 push up e 100 addominali quotidiani, la sua figura è stata illustrata a un pubblico più giovane dal recente documentario di Netflix Get me Roger Stone. Ci accoglie indossando un completo acquistato 30 anni fa da Mimmo Spano, un sarto italiano di New York, nel suo appartamento a Ford Lauderdale, in Florida, pieno di cimeli di Nixon e di statue e ritratti dello stesso Stone, inviati dai suoi ammiratori. Nel documentario, girato dopo le elezioni del 2016, si definisce un «agente provocatore».
Oggi, dopo aver gestito 13 campagne presidenziali, non è più in prima linea, ma ha un programma radiofonico quotidiano, conserva un ottimo rapporto con Trump e stretti contatti con i suoi consiglieri. Afferma di aver avuto una redenzione religiosa dopo le indagini per collusione russa nelle elezioni: «Due anni e mezzo indagato per crimini inesistenti, ho perso la casa, l’assicurazione, i risparmi, l’abilità di uscire senza rischi in pubblico. Dopo una dura prova personale come questa ti riavvicini a Dio».
Non tutti sanno che Stone, cresciuto in un paesino del Connecticut, ha origini siciliane. La madre si chiamava Gloria Rose Corbo. «Lavorava part-time nel settimanale locale scrivendo sugli eventi nella comunità. Era una donna molto sospettosa, religiosa e patriottica, molto simile alla madre di Tony nei Sopranos. Mi scoprì a fumare e mio padre mi punì con la cinghia perché glielo chiese lei. Mio padre scavava pozzi idrici per le case, andava alle 5 del mattino e tornava alle 5 del pomeriggio coperto di fango, 6 giorni a settimana senza mai lamentarsi. All’inizio io volevo fare l’attore, sarei morto di fame».
Regola 41: «Attacca, attacca, attacca — non essere mai in difesa». È una delle tattiche di Trump popolarizzate dal film The Apprentice e attribuite all’avvocato maccartista Roy Cohn.
«Credo che me le abbiano fregate. Roy Cohn era un mio amico, le ho scritte io, sono in alcuni casi mie osservazioni del suo comportamento. E forse entrambi, io e Trump, siamo stati influenzati da Cohn. Ma, per la cronaca, sono molto più bello e ben vestito dell’attore che mi interpreta».
Quando ha incontrato Trump la prima volta?
«Nel 1979, attraverso Roy Cohn, e l’ho reclutato per la campagna di Ronald Reagan, lui e suo padre [Fred Trump, N.d.C.] erano nella nostra commissione finanze. Dopo l’elezione di Reagan sono stato assunto come consulente nella sua società di gioco d’azzardo, facendo marketing e altre cose, non terribilmente eccitanti, ma siamo diventati amici».
Lei scrive che Trump ha vinto grazie a sé stesso, non ai suoi strateghi.
«Chiede opinioni, ma alla fine non viene gestito, preconfezionato o sceneggiato da nessuno. Farà sempre ciò che vuole. È questo il problema del film The Apprentice. Il protagonista merita l’Oscar, ma l’idea che Roy Cohn abbia inventato Trump è assurda. Trump ha creato Trump».
Attaccare, non ripetere le accuse, contrattaccare: sono le stesse tattiche con cui operano tutti di questi tempi, anche Bannon quando lo hanno accusato di aver fatto il saluto nazista.
«Perché ripetere le accuse, che magari alcuni non hanno sentito? Ma io non vado a eventi pubblici facendo questo gesto [fa il saluto romano – N.d.R.], faccio quest’altro [le braccia aperte con il segno della vittoria, il saluto di Nixon – N.d.R.] da quando avevo 19 anni e funziona ancora».
Lei è stato spesso rappresentato come qualcuno che usa trucchi sporchi in politica, ma non si è opposto a questa rappresentazione.
«Non mi descrivo io così, ma lo fanno le persone che ho sconfitto nelle elezioni. La politica è una zuffa in America e lo è sempre stata. Sì, sono pronto a usare i metodi duri per vincere, farò di tutto per far eleggere i miei candidati, eccetto violare la legge».
Regola 9: «Vesti con sprezzatura». Lei usa una parola italiana e cita come esempi di stile Gianni Agnelli e Lapo Elkann.
«Significa vestirsi molto bene ma dando l’impressione di non aver dedicato tempo a pensarci. Non ho conosciuto gli Agnelli, ma li ho osservati da lontano».
Regola 55: «Non arrabbiarti, pareggia i conti… sii sempre pronto a mostrare ferocia, mai vera rabbia». Trump prova rabbia?
«Ci sono momenti in cui è stato arrabbiato, penso sia legittimo, quale ex presidente è stato trattato così? Ma non l’ho mai visto scoraggiato, sconfitto o depresso, ma sempre ottimista che alla fine avrebbe vinto. Chi altri avrebbe subito commercializzato la sua foto segnaletica? Come Nixon, è incredibilmente resiliente e persistente. Nixon nel 1968 mise in scena la più grande rivincita della storia della politica. Quella di Trump è ancora più grande perché aveva uno tsunami di strumentalizzazione giudiziaria e i media contro di lui».
C’è chi dice che per Trump tutto è una transazione. È vero?
«Può esserlo, è un uomo d’affari. Ma anche Reagan lo era all’interno del quadro delle sue convinzioni. Ci sono cose su cui Trump non accetterà transazioni, come indebolire il nostro esercito o accordi commerciali a nostro svantaggio».
Lei mi ha detto che Giorgia Meloni non si è rivelata così conservatrice come aveva sperato «nella lotta contro i globalisti, ma adesso ha l’opportunità di esserlo». Può raggiungere un buon accordo con Trump sui dazi?
«Penso che sia stata incoraggiata dall’elezione di Trump a tornare a quelle che credo siano le sue vere idee nazionalistiche, le migliori per un’Italia forte, libera, sicura e prospera. Mi dicono che abbia un ottimo rapporto con il presidente, quindi sì penso che possa negoziare un accordo commerciale forte e positivo per entrambi i Paesi».
Numero 54: l’odio è una motivazione più forte dell’amore. Trump mischia le battute, che i suoi elettori adorano, agli attacchi brutali a Biden e Harris nei suoi discorsi. Ma le elezioni sono finite.
«In politica l’unica cosa peggiore di aver torto è essere noiosi. Parla alla sua base, queste sono frasi a fuoco rapido che generano applausi; e in secondo luogo la battaglia non è finita, abbiamo una vittoria temporanea ma ci saranno di nuovo elezioni nel 2026 e 2028».
Chi verrà dopo Trump?
«Abbiamo star come J.D. Vance e Tulsi Gabbard, lei sarà la prima presidente donna. I democratici chi hanno? E non hanno messaggio. Che cosa aveva Kamala? Che Trump è un nazista?».
Ma l’ha detto lei che bisogna andare all’attacco…
«Devi avere entrambe le cose, devi avere un messaggio che ispiri: Make America Great Again, sigilla il confine, ripristina l’indipendenza energetica, riduci l’inflazione, risolvi la crisi degli alloggi, ripristina la forza del dollaro sono cose molto specifiche. Kamala, priva di una sua piattaforma, ha cominciato a parlare come lui, settimane dopo la nomina ha detto che avrebbe sigillato il confine. Ma perché non l’ha fatto prima, per quattro anni? I democratici hanno avuto tutta una serie di dibattiti interni su quale dovesse essere la loro politica sul confine e il dibattito era così divisivo che, alla fine, non avevano alcuna politica».
Vance può essere presidente?
«Certo, ha bisogno di calzini più lunghi. Un grosso problema. Non dovresti far vedere i polpacci».
E Ron DeSantis?
«È completamente finito. È un mutante disfunzionale con un grave disturbo della personalità e una moglie fastidiosamente invadente. Non ti guarda mai negli occhi, non dice mai grazie. È strambo».