di Giovanna Grassi («Corriere della Sera», 21 settembre 2017)
Al pari degli Oscar, anche la cerimonia di consegna dei 69esimi Emmy Awards, celebrata nello storico teatro di Downtown, il Microsoft Theater con 7.100 posti gremiti, ha avuto come bersaglio il presidente Donald Trump. Il clou si è registrato quando il vincitore Alec Baldwin, miglior attore nel genere commedia per la parodia di Donald Trump nel programma Saturday Night Live, ha ritirato il trofeo ironizzando sul fatto che il presidente, quando faceva lo showman in tv, non ne ha mai vinto uno: «Mr. President, here is your Emmy!».Sorride l’attore, soddisfatto per la vittoria, ma anche per le vendite alle stelle del suo recente libro di memorie, Nevertheless.
Trump non ama la sua satira…
«La vita di un uomo è sempre un viaggio, e il mio è più privato di quello di un presidente, ma ritengo, come attore e come uomo, di avere il diritto di fare satira, amara nei confronti di chi è diventato il leader del mio grande Paese, anche se nessuno dei miei amici dice di averlo votato. Ribatto, con amarezza, che però è stato eletto e, anche se Mister President parla e twitta, le sue parole confermano l’inveterata abitudine a mentire. Se non guarda il Saturday Night Live, lo esorto a farlo. Potrebbe imparare che la satira è un genere di primaria importanza e richiede dall’antichità a oggi in ogni campo — politico, religioso, sociale, giuridico — intelligenza polemica e preparazione interdisciplinare in tanti campi».
Non è stanco di prenderlo in giro?
«Trump, più di ogni altro presidente Usa, offre in ogni suo discorso spunti per critiche beffarde e ogni giorno i maggiori giornali sottolineano le sue esternazioni. Può benissimo affermare impropriamente, come ex conduttore di show mai premiati, che “le mie imitazioni fanno schifo”. Non smetterò certo di fare le pulci a un presidente per il quale ragazzi, uomini e donne, minoranze e parte di maggioranze continuano a sfilare con cartelli “Non è il mio presidente”».
È preoccupato per il futuro dell’America?
«Abbiamo eletto in passato grandi leader, io chiedo oggi di difendere l’integrità del nostro sistema elettorale. Sono ormai un uomo di mezza età, padre di figli grandi e piccoli, e resto un cittadino che crede ai diritti pubblici e privati. Molti americani, delusi da tante situazioni, si stanno rifugiando nel privato: rilancio la passione per la giustizia, i “no” a ogni muro, la fede nella democrazia e nella sua libertà. Proprio ora dobbiamo lottare».
Lei è stato sostenitore prima di Clinton, poi di Obama. La sua ironia danneggia Trump?
«Sono un orgoglioso fautore di imitazioni che prendono il posto delle vere foto di Trump. Il parrucchino tra il biondo e l’arancio che uso per le mie gag offre spunti, purtroppo poco memorabili per il nostro Paese. Mi avvio a interpretare il ruolo di un politico in Mission: Impossible 6. Credo alle missioni impossibili, in fondo lo è anche la mia battaglia satirica contro Trump, perché dà qualche frutto e lo dimostra a ben pensarci anche la popolare vittoria agli Emmy».
Quanto è importante per lei la satira?
«È vero che quando noi attori moriremo non ricorderemo, sul letto d’addio alla vita, le decisioni politiche del Congresso, ma una canzone, un passo di un libro, l’immagine di un quadro amato (sono un collezionista d’arte). Tuttavia, ciò che noi attori facciamo e diciamo con le nostre parole e la nostra immagine pubblica ha un valore. Apprezzare il senso dell’umorismo è sinonimo di intelligenza, qualità che non appartiene al presidente. Far ridere il pubblico è difficile, farlo ridere con la caricatura di un presidente è al tempo stesso una sconfitta difficile da accettare e una vittoria che poco conforta le élite che non hanno votato Trump e quelle popolari che oggi non l’accettano».
Lei dice che Trump ricicla sé stesso. Che cosa vuol dire?
«La satira è stata rinvigorita da un presidente che supera la sua stessa parodia. Trump ricicla sé stesso, ma io continuo a credere al vero riciclo, quello che riguarda i rifiuti e l’ambiente, e non ho perso la speranza in un’America non decaduta».