(ilpost.it, 30 marzo 2021)
John Hinckley ci mise meno di due secondi a sparare tutti i sei colpi della sua calibro .22 contro il presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan: era il 30 marzo 1981, quarant’anni fa. Reagan aveva preso l’uscita secondaria per lasciare l’Hotel Hilton di Washington D.C., dove aveva tenuto un discorso, e stava percorrendo un breve tratto a piedi per raggiungere la sua limousine blindata. C’era una piccola folla nei pressi della limousine, e Reagan era circondato da un folto gruppo di persone, tra cui il portavoce Jim Brady e alcuni agenti di polizia e del Secret Service (l’agenzia federale che si occupa, tra le altre cose, della protezione del presidente e della sua famiglia). Hinckley, inizialmente, non aveva linea di tiro per colpire Reagan.
Il primo colpo che sparò raggiunse Brady alla testa: si salvò, ma rimase gravemente menomato. Il secondo colpo fu intercettato da un agente di polizia che si era messo in mezzo tra Hinckley e Reagan. Nella frazione di secondo in cui Hinckley si apprestava a premere il grilletto per la terza volta, la linea di tiro su Reagan si liberò, ma al momento dello sparo una serie di eventi in rapida successione salvò la vita al presidente. Prima Alfred Antenucci, un sindacalista che aveva assistito al discorso di Reagan, si gettò su Hinckley colpendolo alla testa: il terzo proiettile mancò, quindi, il bersaglio. Subito dopo Jerry Parr, un agente veterano del Secret Service, prese Reagan di peso e lo spinse violentemente nella limousine blindata, poi si mise sopra di lui per fargli scudo.
Ricordando quell’episodio in un’intervista, Parr raccontò: «quando sentii gli spari capii subito cosa stava succedendo: in un certo senso era il momento per cui mi ero sempre preparato». Mentre Parr prendeva di peso Reagan, un secondo agente di origini irlandesi, Tim McCarthy, spalancò le braccia mettendosi nella linea di tiro tra il presidente e Hinckley. Il quarto proiettile colpì McCarthy all’addome, ferendolo a un polmone e al fegato (ma in seguito si riprese completamente). «Se non ci fosse stato Tim, sono sicuro che uno tra me e il presidente sarebbe stato colpito, quel giorno», ha raccontato Parr anni dopo. «L’unica cosa che separava il presidente dal tipo era il grosso corpo irlandese di McCarthy». Nonostante l’intervento di Antenucci e degli agenti, Hinckley riuscì a sparare altri due colpi prima che altre persone nella piccola folla si avventassero su di lui.
Intanto, saliti sulla limousine, Parr e il presidente Reagan partirono velocemente verso la Casa Bianca. Durante il tragitto, però, a un certo punto Reagan cominciò a tossire sangue e si capì che era stato ferito. Cambiarono rotta verso l’ospedale della George Washington University, dove si scoprì che un proiettile – rimbalzando sulla carrozzeria della limousine – aveva colpito Reagan sotto l’ascella, perforandogli un polmone e fermandosi a poca distanza dal cuore. Venne immediatamente operato e poche ore dopo fu dichiarato fuori pericolo, anche se la convalescenza fu piuttosto complicata: poté tornare alla Casa Bianca solo undici giorni dopo l’attentato. Le immagini della sparatoria furono riprese e trasmesse da tutti i principali network televisivi e fecero molta impressione sul pubblico americano, che meno di vent’anni prima aveva assistito all’omicidio di un altro presidente in carica, John Fitzgerald Kennedy.
Al momento dell’attentato, Reagan era entrato in carica da poco più di due mesi, dopo aver ottenuto una vittoria schiacciante contro il candidato del Partito Democratico Jimmy Carter, presidente uscente. Reagan, repubblicano, aveva impostato la sua campagna elettorale su un forte anticomunismo e su una svolta radicale in ambito economico, in senso neoliberista. Tuttavia l’attentato di cui Reagan era bersaglio nulla aveva a che vedere con la politica. Hinckley, che aveva venticinque anni quando tentò di uccidere Reagan, era affetto da problemi mentali e organizzò l’attentato principalmente per un motivo: fare colpo sull’attrice Jodie Foster, da cui era ossessionato.
Hinckley fu dichiarato incapace di intendere e di volere e fu assolto. Fino al 2017 ha vissuto in un ospedale psichiatrico sotto sorveglianza, mentre oggi vive a Williamsburg, in Virginia, e gestisce un piccolo negozio di antiquariato. Jerry Parr andò in pensione nel 1985, quattro anni dopo la sparatoria, e divenne un pastore protestante. Tim McCarthy dopo l’attentato guarì completamente e ebbe una carriera di successo nella polizia; è andato in pensione nell’agosto del 2020. Jim Brady fu costretto sulla sedia a rotelle dopo l’attentato, e morì nel 2014. Gli esami medici stabilirono che la causa della morte era da collegare alle conseguenze della ferita subìta più di trent’anni prima.