di Massimiliano Panarari (lastampa.it, 7 ottobre 2024)
«Dio li fa e poi li accoppia» (e in questa vicenda il fondamentalismo cristiano conta assai). Donald Trump ed Elon Musk formano un’arrembante coppia (politica) di fatto, specchio esemplare del neopopulismo di destra contemporaneo e di un modello di leadership dove l’egotismo e il narcisismo tracimano senza più remore. Entrambi soggiacciono molto volentieri al fascino della ribalta; in questo caso il palco di Butler, teatro, poco meno di tre mesi fa, del fallito attentato.
Così, dopo tanti endorsement e qualche evento in comune on line, i due campioni – americani e globali – dell’ultradestra populista si sono presentati insieme davanti alla folla dei sostenitori. A un mese dal voto, durante questo Maga – scusate, mega… – comizio dalla ovvia e fortissima valenza comunicativa, il tycoon ha schierato la sua squadra di prima fascia (de facto, una delicatissima coalizione di one man show): il candidato vicepresidente J.D. Vance e, giustappunto, il patron di X e di SpaceX, come ha voluto ribadire tramite la sua maglietta nera con la scritta “Occupy Mars”.
Musk è un generoso finanziatore della campagna trumpista e, in linea con una consuetudine dello spoils-system statunitense, ha incassato la promessa di un incarico di governo o di un ruolo da consigliere (già oggetto di un suo tweet che vaticinava l’assegnazione di un «Dipartimento per l’efficienza governativa»). Una coreografia e uno storytelling curati – naturalmente – sin nel minimo dettaglio.
Chiamandolo sul palco, Trump lo ha presentato alla stregua della più recente incarnazione dell’American dream, l’imprenditore (postmoderno) di due pietre miliari, rivedute e aggiornate, dell’economia a Stelle e Strisce: l’industria dell’auto e quella dell’aerospace. E, come avviene tra pragmatici uomini d’affari (che non si curano del conflitto di interessi…), l’intesa fra i due si è cementata sicuramente anche sulla direzione di marcia da imprimere ad alcuni business in caso di ritorno alla Casa Bianca. Musk ha ricambiato professandosi un dark Maga, vale a dire un supporter sfegatato ed estremista del trumpismo.
Una dichiarazione di sostegno che sottintende un manifesto politico, e il trionfo dell’alt-right, divenuta, con le teorie dei sodali di Steve Bannon, l’ideologia ufficiale (a dispetto di alcune tenui resistenze interne) del Partito repubblicano. Secondo una traiettoria già vista all’opera in precedenza (da certe lobby evangeliche al movimento del Tea Party), per cui una grande organizzazione fondamentalmente dedita al campaigning elettorale – tali sono i due grandi partiti Usa – finisce per essere oggetto, più o meno accondiscendente, dell’entrismo operato da gruppi politici e di interesse che riescono a egemonizzarla, ridefinendone la dottrina politica e i programmi.
L’alternative right è in tutto e per tutto un’estrema destra – indicata da alcuni osservatori come il «fascismo americano» –, una miscela di suprematismo bianco, ipernazionalismo, neotradizionalismo e culto della tecnologia, distillata anche in seno ad alcuni forum Web e siti di imageboard (come 4chan), animati da giovani maschi razzisti, sessisti, spesso nerd e incel. Altrettante dark room internettiane che hanno fatto da laboratori per il condensarsi di narrazioni antagoniste di ultradestra contro quelli che i suoi frequentatori considerano il pensiero mainstream e il “dominio” del politicamente corretto. Invocando, perciò, una sedicente libertà d’espressione, che si manifesta drammaticamente nell’hate speech (fino all’incivility politics dei trumpisti).
Ed è proprio su questi ultimi aspetti che si è verificata la saldatura con l’anarcoliberismo e l’insofferenza nei confronti dei lacci e lacciuoli dei poteri pubblici e delle regolamentazioni che sta alla base dell’“ideologia californiana”. Accanto alla prevalente Silicon Valley “progressista” (anch’essa, però, libertarian in tema di mercato, poiché si tratta di una visione davvero trasversale), ha rotto ogni indugio ed è passata all’offensiva quella di ultradestra pazientemente coltivata da Peter Thiel, appassionato di esoterismo e fantasy, consigliere di Trump e mentore di Musk.
Quest’ultimo è oggi il frontman del “tecnosovranismo”, di cui il suo ex (come in PayPal) o tuttora socio (come in SpaceX) Thiel rappresenta l’autentica eminenza grigia (o per meglio dire, nera). Ad accomunarli ai loro competitor di mercato e rivali di orientamento politico di Big Tech è la concezione superomistica (di cui è intrisa la filosofia del postumano e del transumanesimo) e l’autopercezione di sé stessi quali Masters of the Universe, a capo di corporation high-tech più potenti di numerosi Stati-nazione.
È il neofeudalesimo digitale, bellezza! E, dunque, non si può escludere che nei suoi piani futuri Musk abbia messo nel mirino la stessa presidenza degli Stati Uniti, traguardo probabilmente anelato sul fronte “opposto”, non a caso, da Mark Zuckerberg. Perché per i tech-mogul non esistono più limiti. Ovvero, come dicono gli anglosassoni: «Sky’s the limit». Anzi, lo spazio, visto di chi stiamo parlando, che è pronto a sbarcare su Marte…