di Muheet Ul Islam e Pirzada Shakir (The New Arab / internazionale.it, 14 luglio 2022)
“Lo zafferano arriverà in ogni casa, il dominio di Rama (incarnazione del dio Visnu) riemergerà”: è l’intro di una canzone diventata popolare negli ultimi mesi in India. Il brano dura due minuti e si trova su YouTube interpretato dal quarantenne Ved Vyas. Invoca la “zafferanizzazione” (l’arancione zafferano è il colore dell’induismo), un’ideologia politica che in India sostiene la supremazia degli indù su tutte le minoranze etniche e religiose.
Questo genere musicale antimusulmano è il pop indù, ormai diffuso a macchia d’olio in tutto il Paese. I simpatizzanti del governo di destra usano i testi islamofobici delle canzoni per inviare un messaggio inequivocabile alle minoranze: “Lasciate l’India”. Ispirata da pregiudizi nei confronti dell’Islam, in India la musica a sfondo razzista è emersa soprattutto dopo che il partito nazionalista indù Bharatiya Janata Party (Bjp) è salito al potere vincendo le elezioni parlamentari del 2014.
Vyas è il presidente della sezione giovanile del Bjp della sua città, Bikaner, nello Stato nord-occidentale del Rajasthan. La sua prima canzone, uscita nel 2014, tesseva le lodi del Bjp e del primo ministro indiano Narendra Modi. Grazie a questo brano Vyas ha guadagnato una certa popolarità. Il cantante respinge le accuse secondo cui la sua musica sarebbe intrisa di odio per la comunità islamica. “È il mio tentativo di contribuire alla cultura (sanskriti) e alla conoscenza indù (samvita)”, afferma.
Questa esigenza sarebbe nata quando si è reso conto che la gente del suo Paese “le stava dimenticando”. “Le mie canzoni si cantano in molte zone dell’India” prosegue Vyas. “Se i testi incitassero alla violenza o all’odio, ci sarebbero state delle rivolte, invece non è successo. Nessuno si è fatto male”. Vyas dice di non essere solo nella sua missione: sono molti i seguaci che sostengono la sua causa e offrono aiuto. “Non canto per i soldi, non è mai stato il mio obiettivo”, aggiunge. “C’è chi si offre di aiutarmi gratuitamente e chi continua a sostenermi perché capisce cosa sto facendo e il motivo per cui lo faccio”.
Le canzoni islamofobiche non si limitano a esprimere la necessità di “zafferanizzare” l’India. Sono decine i brani di cantanti popolari di destra che invitano apertamente i musulmani a lasciare il Paese. Queste minacce sono dirette alla minoranza religiosa che costituisce il 14 per cento della popolazione indiana. In un pezzo di sette minuti intitolato L’India appartiene agli indù / ruffiani andate in Pakistan (Hindu ka hai Hindustan / dallo jao Pakistan), interpretato dal cantante Prem Krishnvanshi, di 25 anni, gli indiani musulmani sono accusati di essere “traditori e sostenitori” della vicina e rivale nazione del Pakistan.
La canzone mostra sullo sfondo la foto di Asaduddin Owaisi, uno dei politici musulmani di spicco del Parlamento indiano. Il testo inizia lodando Narendra Modi e Ajay Singh Bisht, noto come Yogi Adityaanath, un monaco indù oggi primo ministro del popoloso Stato dell’Uttar Pradesh. Un altro brano famoso è intitolato Non siete esseri umani ma macellai / basta con la fratellanza tra indù e musulmani (Insaan nhi ho tum saalo, ho tum kasaayi / boht ho chuka hindu-muslim bhai bhai). I testi di queste canzoni sono diventati veri e propri inni di strada. I seguaci della destra attraversano in corteo i quartieri musulmani, armati di spade, cantando i brani del pop indù.
Krishnvanshi, laureato in ingegneria, vive nell’Uttar Pradesh e sostiene che il governo di Adityanath apprezzi la sua musica. Le sue canzoni, dice, si rivolgono “solo a chi vive in India e ama il Pakistan”. Il giovane cantante ha dichiarato di voler smettere di scrivere brani controversi: “Mi sono reso conto che avrebbero potuto ferire i sentimenti di qualcuno”. Ma l’ultima canzone che ha pubblicato s’intitola Il Taj Mahal è il tempio della divinità indù Shiva. Il Taj Mahal, una delle sette meraviglie del mondo, fu costruito da un re musulmano nel 1632 in memoria della defunta moglie Mumtaz Mahal. Il monumento di recente è stato oggetto di discussioni, dopo che i sostenitori della destra indù hanno affermato che la tomba sia in realtà un tempio induista.
Ahmed, noto esperto musicale e ricercatore di Delhi, sostiene che le canzoni del pop indù hanno lo scopo di denigrare la minoranza musulmana del Paese. “Le canzoni islamofobiche hanno il sostegno delle istituzioni”, dichiara. Le canzoni razziste, però, secondo Ahmed non avranno un impatto sull’industria musicale indiana, che dispone di risorse così ingenti da non poter essere facilmente intaccata o danneggiata. “La musica è arte, e io qui non vedo arte. Credo che l’industria musicale indiana non ne risentirà, anche se il pop indù avrà un impatto sull’armonia della comunità”. Secondo Ahmed “alcuni soggetti cercano di trarre profitto da questa narrazione del nazionalismo e dalla condiscendenza dei politici di destra”.
Kavi Singh, una cantante di 23 anni con quasi un milione di iscritti al suo canale YouTube, spiega di voler sensibilizzare il governo sullo stato d’animo della nazione con le sue canzoni. Singh mette in evidenza questioni come la rivendicazione degli antichi templi che sono stati “abbattuti” e “convertiti in moschee” dai re musulmani durante il loro regno (1206-1526). La cantante dice di aver intrapreso questa professione dopo che, nel febbraio del 2019, un attentatore suicida fece saltare in aria un veicolo della polizia paramilitare nella parte indiana del Kashmir. All’inizio, racconta, le sue canzoni promuovevano l’armonia tra indù e musulmani. Ma ha cambiato strada dopo aver constatato che gli indù erano “presi di mira” nella loro stessa terra.
“Di recente”, prosegue Singh, “stavo tornando con dei colleghi dalla città di Ayodhya nell’Uttar Pradesh, e due camion hanno cercato di spingere la mia auto in uno strapiombo. Non so se gli autisti dei camion fossero musulmani, ma il quartiere in cui è avvenuto l’incidente è a maggioranza musulmana”. Singh è convinta che i privilegi dei musulmani in India andrebbero limitati: “Perché le minoranze dovrebbero avere più diritti? Il Pakistan e l’India sono stati creati su base religiosa con la partizione dell’India britannica, in modo che i musulmani potessero vivere in Pakistan e gli indù in India. Dovrebbero essere gli indù ad avere più diritti nel nostro Paese”. Singh dice di appoggiare il governo, e di criticarlo quando lei lo ritiene necessario. “In una canzone esprimo la mia ammirazione per la decisione di abrogare l’articolo 370 della Costituzione che riconosce lo statuto speciale del Kashmir perché, in un certo senso, il Kashmir sembra un altro Paese”, spiega.
Mentre la popolarità di queste canzoni razziste continua ad aumentare, molti temono che la musica possa diventare un potente mezzo per istigare alla violenza contro la comunità musulmana, già duramente perseguitata. Ahmed ha paura che i video del pop indù possano alimentare la violenza religiosa. “Con i video si passa a un altro livello”, conclude, “e si raggiunge un pubblico più vasto”.