di Lia Celi (linkiesta.it, 23 ottobre 2018)
«Quest’uomo deve il suo successo al fatto che in ogni atto e in ogni parola del personaggio cui dà vita davanti alle telecamere traspare una mediocrità assoluta, unita (questa è l’unica virtù che egli possiede in grado eccedente) ad un fascino immediato e spontaneo spiegabile col fatto che in lui non si avverte nessuna costruzione o finzione scenica.Sembra quasi che egli si venda per quello che è e che quello che è sia tale da non porre in stato di inferiorità nessuno spettatore, neppure il più sprovveduto». A chi corrisponde questo ritratto? Che domande: è evidente che si parla di Salvini. Ma va’, è Renzi, spiccicato. No no, io ci vedo più Di Maio. Chi ha sul groppone più di qualche decennio conosce la risposta esatta. Anzi, forse, con qualche brivido, può citare il passaggio successivo del brano: «In lui lo spettatore vede glorificato e insignito ufficialmente di autorità nazionale il ritratto dei propri limiti». Il «lui» è Mike Bongiorno buonanima, notomizzato da Umberto Eco nella celeberrima Fenomenologia del 1961. E che dopo cinquantasette anni è applicabile a quasi tutti i leader politici italiani nati e cresciuti dagli anni Settanta in poi. È come se dal re dei telequiz, come dai capostipiti di grandi famiglie tipo i Rothschild o i Medici, fossero scaturite due discendenze, una ufficiale, il ramo Conduttori televisivi (Fazio, Frizzi, Conti, Fiorello ecc.), e una spuria, i Politici: la prima, frutto del santo matrimonio di Bongiorno con la Rai, ha prodotto veri purosangue dell’entertainment per famiglie, l’altra, quella nata dal successivo concubinaggio, lungo e appassionato, con Silvio Berlusconi, composta di entertainer della politica. Tutti risultati di quel connubio fatale che, oltre ad appesantire il corredo genetico dei rampolli di un narcisismo e un autocompiacimento che in Mike, per ragioni biografiche e caratteriali, erano meno sviluppati, ha inoculato in loro la tara fatale della megalomania. Ma sia il genitore A sia il genitore B erano di ben altra pasta rispetto ai figli. Mike, per quanto strano possa sembrare, aveva fatto la Resistenza come staffetta portamessaggi (furono probabilmente i partigiani cui recapitava i dispacci i primi a sentirsi porre la domanda “busta numero uno, due o tre?”) e si era salvato dalle grinfie della Gestapo solo grazie al suo passaporto americano. Quanto a Silvio, era ed è ancora Silvio, il benigno genio del male che tutti conosciamo, manomorta di ferro in guanto di velluto, con tutta la tignosa vitalità dell’italiano del boom. Apparentemente è il suo Dna a trionfare nella prole: i giovani Renzi e Salvini hanno debuttato in tivù sotto il segno del Biscione, come concorrenti dei telequiz Mediaset, e sono stati accuditi dal Cav anche in politica, seppure in forme diverse – il patto del Nazareno, l’ultima coalizione di centro-destra. Eppure, non è la sua eredità quella che vagheggiano – troppo pesante, impegnativa e, in ultima analisi, noiosa. Basta guardare Renzi, che solo ora, nella scuderia di Lucio Presta, l’agente delle star, sembra aver trovato la sua vera dimensione: «voglio fare quello che fai tu, Floris» ha ammesso candidamente a Dimartedì prima di farlo tout-court sul palco della Leopolda. Basta guardare Salvini e il suo show quotidianamente declinato sui vari social, con gli hashtag al posto dei tormentoni alla Drive-in. Basta guardare Di Maio, che nei video che posta sembra un bambino che gioca alla televisione nella sua cameretta imitando l’anchorman che piace alla nonna (lo abbiamo fatto tutti, da piccoli). Che se ne rendano conto o no, in fondo non gliene importa un fico secco del potere politico. Quello che vogliono è lo scettro di Mike, l’altare di rassicurante e amato idolo delle masse che si specchiano nella sua mediocrità. Il problema è che nell’era dei mille canali, del Web e di Netflix quello scettro non si conquista più presentando i telequiz o gli show del sabato sera sul canale nazionale, come ai tempi di Lascia o raddoppia?, senza contare che se il programma non funziona te lo chiudono dopo due settimane. E anche per diventare influencer o youtuber di successo non basta l’egolatria, bisogna interessarsi seriamente a qualche cosa – la moda, i videogiochi, la cucina vegana – e magari parlarne in modo originale. Oggi la via più facile per rendere carismatica la propria mediocrità attraverso i media è la politica nazionale, i cui casting sono meno selettivi di quelli di Affari tuoi. La leadership politica, insomma, è vista come la conduzione televisiva realizzata con altri mezzi. E una volta che sei arrivato in cima, in tivù c’è la tua faccia, tutti i santi giorni, e l’Auditel e ti fa un baffo: è come negli anni Sessanta, quando c’erano un solo canale e una sola minestra, e le donne potevano aspirare unicamente al ruolo di valletta (si rassegnino Boschi, Meloni e Raggi: non avranno mai un programma tutto loro). Etimologicamente, Führer e Dux quello significano: conduttore. Ma se da ragazzo non hai partecipato alla Grande Guerra, come Adolf e Mussolini, ma alla Ruota della Fortuna e a Il pranzo è servito, l’unica conquista che ti esalta davvero è quella del pubblico, in studio e a casa. È lo smartphone che traccia il solco, ma è il telecomando che lo difende. Se sforo seguitemi, se vi annoio uccidetemi negandomi i like. Ed è sempre dal Bongiorno secondo Eco che possiamo capire quando tramonteranno i politici-conduttori mediocratici: se è vero che incarnano «un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perché chiunque è già al suo livello», la loro fascinazione cadrà solo quando gli italiani non si identificheranno più nelle loro maniglie dell’amore, felpe, giubbotti di pelle e battutine. Basterà che dal loro idolo non sentiranno più arrivare il confortante messaggio «voi siete Dio, restate immoti», ma il sospetto che così come sono non vanno più bene. Che devono muoversi, cambiare almeno un pochino, fare uno sforzo appena maggiore di premere un pulsante o cliccare un’icona. E come nel finale di Un volto nella folla, il capolavoro di Elia Kazan, il feticcio cadrà fulmineamente nella polvere. Per fortuna la fine dei duci della ribalta si profila meno truculenta di quella riservata a quelli del secolo scorso. Per loro ci sarà sempre una tribuna da conferenziere in Cina o una televendita di poltrone reclinabili nella fascia pomeridiana. Per i contratti rivolgersi a Lucio Presta.