di Filippo Ceccarelli («Il Venerdì di Repubblica», 14 settembre 2018)
D’accordo, l’estate non aiutava, la vacanza è zona franca, i costumi si rilassano, ci si sta meno attenti… Ma ora e senza particolari polemiche: si può sapere che gli è preso a Salvini? È normale come si concia e si comporta il vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno? Si dirà: eh, fosse solo quello!
Va bene, ma per fermarsi alle forme, al contegno e al necessario (forse) decoro del potere è già molto, ormai, vedere Salvini almeno in maniche di camicia. Nella foto qui sopra, per dire, Daniel Dal Zennaro l’ha ritratto alle prove del Gran Premio di Monza: cappelletto, maglietta, bermuda. Stringe il cuore ricordare Berlusconi appena pochi mesi fa: «Si allacci la giacca, se no sta male». Lo stesso Salvini ha graziosamente spiegato il suo abbigliamento: «Quelli in giacca e cravatta ci hanno fottuto». Sarà per questo che ha tenuto una conferenza stampa a torso nudo e con l’asciugamano sulla spalla per poi abbandonarsi a quelle che il rotocalco Chi ha designato come “coccole hard” con la sua bella. Dopo di che ecco il ministro intento al flipper. La t-shirt recava scritto: Offence best defence. Su quella di qualche giorno prima era impressa la sua faccia. A Pontida faceva caldo, così a un certo punto Salvini se l’è tirata su per asciugarsi il sudore scoprendo la panza pelosa. Può essere che queste cose, tra l’organico e il tessile, rendano in termini social e di sondaggi, indispensabile cifra di uno stile pubblico improntato al populismo, o chissà che. Dispiace fare i maestrini di galateo. Ma nessun governante può pensarsi a lungo come “uno di noi”. Oppure recita. Salvini ci ha preso gusto per cui fa il brindisi, mostra il pollicione, si posta com’era da bambino, va sulla moto d’acqua, impugna la canna da pesca, manda bacioni ai nemici, agita i braccialetti e il rosario da asporto, divora l’hamburger con i gomiti sul tavolo. Perché? La risposta, come sempre, affonda così indietro nel tempo da potersi riproporre come fresca di settant’anni in un articolo di Giovanni Ansaldo: «Il vizio antico e nascosto — nascosto, ma non tanto — del nostro costume nazionale è il “guittismo”: cioè la tendenza verso la sciatteria e la trascuratezza di abiti, di modi, di tratti, del guitto, del piccolo commediantuccio. Se si apre un qualunque romanzo del Settecento, si vede subito che gli stranieri, questo vizio nostro l’hanno già fiutato». Era il 1948. Ansaldo lanciava l’allarme su un fenomeno che «si rammoderna e si camuffa», ma è sempre lì. Guittismo “instivalato” quello del fascismo. Ma si può aggiungere il guittismo rampante del craxismo, quello barbarico bossiano, quello delirante cossighiano, quello giustizialista dipietresco, quello pacchian miliardario del Cavaliere. Poi ci sono i non-guitti, ora in minoranza.