
di Giuseppe Bottero (lastampa.it, 21 gennaio 2025)
In campo ha vinto tutto, fuori ha rivoluzionato la moda e un pezzo di cultura pop. Eppure, dice David Beckham, quello di ambasciatore dei bambini per l’Unicef è «uno dei ruoli più importanti della mia vita. Durante la pandemia mi è stato chiesto di essere la voce dei più piccoli, di difendere i loro diritti. Un compito che ho preso seriamente, molto più di tanti altri», racconta il proprietario dell’Inter Miami FC.
Parla con un gruppo di giornalisti internazionali durante un evento del World Economic Forum, risponde alle domande e prova a glissare quando qualcuno tira in ballo il disastroso campionato del suo Manchester United. «Sto seguendo quanto succede all’Old Trafford» sorride. «Abbiamo fatto buone partite, altre meno. Ma abbiamo un buon allenatore, vedremo cosa succederà».
Beckham è a Davos per discutere di giovani, di sviluppo sostenibile e del lavoro portato avanti con il suo “7 Fund”, che, assieme all’Unicef, sostiene i diritti dei bambini più fragili. «Ho avuto la fortuna di viaggiare per il mondo, incontrando bambini diversi fra loro ma tutti straordinari, in grado di ispirarci. E ho imparato che hanno davvero bisogno di noi. Ovunque io vada, hanno lo stesso sorriso sul volto, anche quando crescono in situazioni molto diverse da quelle dei miei quattro figli».
Abito blu, cravatta, quel ciuffo che ancora non vuole rassegnarsi al tempo che passa, David soppesa ogni parola. Sa che nel suo “terzo tempo” – star del calcio, imprenditore glamour, e ora filantropo e attivista – è vietato esporsi troppo. L’uomo che ha sposato una Spice Girl, guadagnato milioni e frequentato i grandi del cinema, della musica e della tv, ora ha un’ossessione: «Dobbiamo fare in modo che ragazzi e ragazze siano trattati allo stesso modo, e che le ragazze abbiano lo stesso accesso alla salute e all’istruzione che hanno i ragazzi. Una cosa che spesso non accade».
Proprio da Davos, Oxfam ha lanciato il suo allarme: a livello globale, nel 2024 la ricchezza dei più ricchi è cresciuta, in termini reali, di 2mila miliardi di dollari, pari a circa 5,7 miliardi al giorno. Allo stesso tempo, però, il numero assoluto d’individui che vivono sotto la soglia di povertà di 6,85 dollari al giorno è oggi lo stesso del 1990, poco più di 3,5 miliardi di persone.
E sono soprattutto le ragazze, «ostacolate dalla povertà, dalla violenza e dalla discriminazione» a soffrire: «Negli ultimi tre, quattro anni, mi sono concentrato sulla loro situazione. Sono loro a essere lasciate più indietro, a perdere l’accesso all’istruzione, a essere costrette a matrimoni precoci» riflette l’ex centrocampista di Real Madrid e Milan, premiato con il Crystal Award per il suo impegno. «Ma queste ragazze sono forti, vogliono la stessa salute e istruzione dei maschi, ed è per questo che dobbiamo lottare. Io lo farò, sempre. Dobbiamo farlo tutti».
Beckham, 49 anni, ricorda i suoi primi passi nel volontariato: «Quando avevo 17 anni, in tournée con il Manchester United, visitai un centro che aiutava le donne thailandesi. Fu il mio primo approccio con l’Unicef. Negli anni ho avuto l’opportunità di incontrare e lavorare con bambini straordinari, ed è questo che mi motiva». A differenza di altri uomini pubblici, nessuna tentazione di governo.
A chi gli chiede un parere sul rallentamento globale dell’economia e i possibili riflessi sul business del calcio, Beckham risponde secco: «C’è un motivo per cui sono un calciatore: perché mi tengo lontano dalla politica. Non sono un politico né uno scienziato, ma so riconoscere una cosa: la forza di questo gioco. Il calcio è lo sport più amato e penso che questo dica tutto. Può cambiare la vita delle persone, e lo vedo con i bambini che ho incontrato in tutto il mondo. Tutto ruota attorno ai bambini, non dovremmo mai dimenticarlo: hanno bisogno di opportunità e investimenti. Capita di entrare in villaggi dove non ci sono televisori né radio, ma basta portare un pallone e loro iniziano a giocare. Questo mi dà speranza. Penso alla Sierra Leone, dopo il conflitto: i bambini sorridevano perché vedevano un volto nuovo e un pallone da calcio».