di Luca Valtorta (repubblica.it, 15 marzo 2024)
«Qua e di là del muro, l’Europa persa in trance / In Alexander Platz, come in Piazza del Duomo»: mentre l’estetica stile Ddr già affascinava a Reggio Emilia band come i Cccp, che le dedicavano provocatoriamente canzoni come questa Live in Pankow, la caduta del Muro, “Der Mauerfall”, il 9 novembre del 1989, apriva una prospettiva completamente nuova per le giovani generazioni. La riunificazione portava finalmente a conoscersi ragazzi cresciuti in situazioni diverse, ma già uniti da quella voglia che ancora oggi rende Berlino una città differente da tutte le altre.
Non stupisce dunque che l’Unesco abbia decretato uno dei prodotti culturali sviluppatisi dalla sua particolare situazione, la techno, “patrimonio immateriale dell’umanità”. Berlino Ovest era diventata il luogo di rifugio per tutti quelli che, per qualche motivo, si sentivano diversi, il che comprendeva anche coloro che volevano evitare il servizio militare. Nascono, in zone come Kreuzberg, case occupate e diversi tipi di controculture, quella punk in primis, ma anche hippie, freaks, rasta e gay qui – lontano da qualsiasi tipo di discriminazione – trovano un rifugio sicuro. Quando cade il muro si liberano nuove, fortissime energie e mentre prima i ragazzi dell’Est guardavano l’Ovest, adesso comincia ad avvenire il contrario.
Gli “Ossi”, come venivano chiamati gli abitanti di Berlino Est, in maniera a volte anche naïf, iniziano una febbricitante produzione artistica a più livelli, che trova il culmine con l’occupazione nel 1990 del Tacheles, un centro sociale in Oranienburgerstrasse che diventa un vero polo d’arte contemporanea all’insegna della più assoluta libertà contro ogni tipo di censura, quella censura che in Ddr l’arte metodicamente subiva. Non a caso il nome viene da una parola yiddish che significa, appunto, “parlare in modo chiaro e schietto”.
Questo è solo l’inizio: la grande quantità di edifici militari, bunker e caveau abbandonati crea un grande fenomeno di occupazioni, così che, nei posti più bizzarri, nascono luoghi di incontro, discoteche, bar. Si realizzano insomma quelle che uno dei vati della Controcultura, Hakim Bey, chiamava T.A.Z., ovvero “Zone Temporaneamente Autonome”, dove si può vivere in un modo diverso sia da quello irregimentato e oppressivo comunista sia da quello propinato dalla ferocia competitiva capitalista.
Il collante unificante di tutto questo è la musica: in particolare la techno, che nella Ddr era tollerata perché non aveva parole e, quindi, non poteva essere giudicata “sovversiva”. Le radio che la trasmettevano all’Ovest potevano essere captate all’Est e questo permetteva ai giovani di ascoltarla. Ecco perché alla caduta del muro la techno diventa il primo linguaggio comune ai giovani delle due parti. Umidi scantinati ed edifici in disuso come il Berghain e il Tresor ne diventano i luoghi sacri. La storia del primo inizia alla fine degli anni Novanta. I fondatori, Michael Teufele e Norbert Thormann, che gestivano un club gay chiamato Snax, nel 1998 si trasferirono in un vasto lotto industriale nel quartiere di Friedrichshain, nell’ex Berlino Est, vicino alle rive del fiume Sprea.
Era un edificio grigio e anonimo in precedenza utilizzato per le riparazioni dei treni che loro ribattezzano Ostgut, aprendolo a un pubblico sia gay sia etero. All’inizio non aveva neppure un indirizzo: sulle mappe appariva come un grande lotto vuoto. Non era illuminato: bisognava avvicinarsi aiutati da qualcuno che conoscesse il luogo finché non si vedevano apparire le persone che gestivano l’entrata. Nel tempo si è poi espanso: il livello superiore è stato trasformato in un’altra pista da ballo. Dalle sue finestre si godeva di una vista magnifica sui magazzini e sulle fabbriche circostanti. Nel 2003 però viene chiuso e i vecchi edifici industriali vengono rasi al suolo per lasciare spazio alla sfarzosa O2 World Arena da 17mila posti.
Su un terreno non troppo lontano, il 15 ottobre 2004, una vecchia centrale elettrica diventa il Berghain, un nome che deriva dall’incrocio dei due quartieri che fiancheggiano il club: Kreuzberg e Friedrichshain. Soffitti altissimi e atmosfera industriale sono perfetti per ospitare i suoni ipnotici della techno e nasce così il club più famoso del mondo (gli unici italiani che hanno avuto l’onore di suonare lì sono stati i Gaznevada, nel 2023), tanto che nel 2016 è stato designato come istituzione culturale mentre, durante la pandemia, è stato trasformato in una galleria d’arte effimera.
L’altro club leggendario, il Tresor, nasce nel seminterrato di un grande magazzino in disuso nell’ex Berlino Est nel marzo del 1991, vicino a Potsdamer Platz, sulle ceneri dell’Ufo, il primo acid house club di Berlino aperto dai fondatori dell’etichetta musicale Interfisch. Presto diventa uno dei luoghi dove bisogna assolutamente andare: è un locale enorme, a più piani, in continua espansione anche all’esterno, almeno fino alla sua chiusura nel 2005 che, però, dura poco: nel 2007 viene riaperto in una centrale termoelettrica dismessa in Köpenicker Strasse.
E se dunque il fatto che l’Unesco abbia inserito la scena techno di Berlino nell’elenco dei patrimoni culturali immateriali dell’umanità, includendo non solo la musica in sé, ma l’intera rete di club, rave e street parade che animano la Capitale della Germania, è sicuramente una buona notizia. La speranza è che la cosa non si fermi lì. Perché anche in Italia esiste qualcosa di analogo: la rete dei Centri Sociali che dagli anni Settanta ha costituito un luogo di aggregazione culturale, musicale e politica per tutti quelli che vogliono qualcosa di più di una serata in discoteca. Forse un giorno arriverà un riconoscimento analogo anche per loro.