di Mario Lavia (linkiesta.it, 29 aprile 2024)
«Vota Antonio vota Antonio vota Antonio…». Totò, in quel vecchio film, si era inventato una candidatura friendly, Antonio La Trippa diventava per il popolo semplicemente “Antonio”, e certo non poteva immaginare, quel genio, che la sua personale campagna elettorale sarebbe diventata un modello: eppure così è stato, tanti decenni dopo, quando nientedimeno che il capo (la capa) del governo si è rivolta agli “i-ta-liani!”, «Scrivete Giorgia sulla scheda» che rievoca almeno ai boomer Ho scritto t’amo sulla sabbia (Franco IV e Franco I, 1968).
Ecco dunque l’amica Giorgia rispolverare a suo modo un classico del grillismo, sono una di voi altro che establishment, laddove Beppe Grillo (ricordate Grillo?) non aveva inventato niente, siamo in pieno populismo di destra, anzi, nel populismo-sovranismo che salta ogni mediazione intellettuale e istituzionale per costruire un (vecchissimo) discorso imperniato sul rapporto diretto leader-popolo. Robert Michels un secolo fa aveva già scritto tutto sulla «dottrina del capo dittatoriale carismatico di conio messianico che non ha ereditato il proprio potere».
Naturalmente non siamo a tanto. Però «Scrivete Giorgia sulla scheda» appare l’acme della disintermediazione populista di destra che come veicolo ha la candidatura in tutta Italia (guarda Elly Schlein dove si stava andando a cacciare), facendo delle elezioni Europee un plebiscito sulla sua figura – lo dice lei stessa: voglio verificare il consenso – che, di fatto, azzera il vero contenuto delle Europee a favore di un mega-sondaggio sul governo.
Il discorso di Pescara rappresenta, dunque, un’accelerazione improvvisa e non necessaria del progetto di curvatura della nostra democrazia in senso leaderistico e populistico. È probabile che Giorgia Meloni abbia ritenuto che il passo andasse fatto ora o mai più, finché l’aria è per lei buona, in attesa dello smash definitivo con il referendum sul premierato. E forse anche per stroncare sul nascere, se sono vere le indiscrezioni su strani episodi che sarebbero avvenuti attorno a lei, un accerchiamento di forze oscure a suo danno. Ma questo aspetto interessa meno.
Più importante è valutare se la clamorosa sterzata egolatrica di Pescara, unita all’evidente slittamento generale verso destra di Fratelli d’Italia (oltre che nella versione clownesca della Lega vannaccista), non sia in grado di suscitare un inedito allarme in una parte del Paese. Cioè di rimotivare non tanto l’indignazione per il Ventennio, ma la preoccupazione per un possibile dominio in chiave antieuropea e genuinamente reazionaria.
Il che non dovrebbe per forza preludere a un simmetrico radicalismo soprattutto verbale e molto social che pure oggi è tanta parte di questa sinistra. Ma sperabilmente potrebbe aiutare una seria e non isterica lettura della situazione italiana in vista di una controproposta di governo, pur nella fermezza che l’accelerazione populista di Pescara richiede.