Vent’anni fa moriva Fela Kuti, musicista e intellettuale che ha lottato per i diritti degli africani. A celebrarlo documentari, dischi e uno spettacolo di danza
di Giandomenico Curi («Il Venerdì», suppl. a «la Repubblica», 18 agosto 2017)
Sono già 20 anni che Fela è morto. Il padre dell’afrobeat si è spento all’alba del 2 agosto 1997. Ma molti non l’hanno dimenticato: tutti quelli innamorati della sua musica, affascinati dalla sua vita di uomo libero, di combattente per i diritti e la salvezza dell’Africa.Non a caso il New York Times l’ha definito «l’intellettuale africano più importante del Novecento». Per lui la musica è il modo più diretto per parlare alla sua gente, non quello più veloce per fare soldi. «Fela Kuti è più di una storia nigeriana. È come il jazz» ha detto suo figlio Femi Kuti. Una sorta di eroe agli occhi di tutti gli africani, soprattutto nigeriani. Il suo funerale a Lagos aveva mobilitato più di un milione di persone. «Lagos, città mostruosa e surreale, doveva partorire prima o poi un mostro sacro…» dice un vecchio sciamano in Musique au poing, un documentario del 1981. Oggi i documentari su Fela si sono moltiplicati. Da ricordare quello diretto da Alex Gibney, Finding Fela, da poco uscito in dvd anche in Italia con il titolo: Fela Kuti. Il potere della musica, un omaggio intenso al genio dell’afrobeat. Un film che, tra l’altro, deve la sua origine allo spettacolo Fela!, che è invece un musical diretto dal coreografo Bill T. Jones e presentato a Broadway con enorme successo. Anche questo è un segno forte dell’attrazione che mister Kuti ancora esercita venti anni dopo la sua morte. Tante le compilation messe in circolazione, i cofanetti, mentre gruppi di afrobeat continuano a portare in ogni angolo del mondo la sua eredità. E ancora il film annunciato di Steve McQueen, il regista di 12 anni schiavo, a partire da The Life and Times of an African Musical Icon, il libro di Michael Veal; e altri libri e mostre e via elencando. Ma forse l’evento più interessante di questo fantastico revival si chiama Kalakuta Republik, e l’ha scritto e messo in scena il coreografo del Burkina Faso Serge A. Coulibaly, insieme al Faso Danse Théâtre di Bruxelles. Uno spettacolo di musica e danza che ha aperto in gloria il festival di Avignone, e che sta ora girando in Europa. Il 6 e il 7 ottobre sarà alle Fonderie Limone di Moncalieri per il Torinodanza 2017; e subito dopo a Lagos per il Felabration, il festival dedicato ogni anno al grande Yoruba. Un inizio fermo, sette ballerini immobili sul palco, una cifra simbolica e assoluta che improvvisamente esplode, scatenando una serie di movimenti di danza, corse, generati da un’inarrestabile urgenza di vivere. Fino a che la scena assume l’aspetto del Santuario, il Kalakuta Republik (“repubblica indipendente”) del titolo: luogo mitico e ibrido, insieme tempio e locale notturno, in cui Fela Kuti cantava la speranza e la rivolta dopo aver pregato insieme al suo pubblico. Danza dura, a volte gioiosa, ma sempre ancorata alla riflessione e al cambiamento possibile. Raccontare l’Africa per raccontare il mondo, per lanciare un ponte sul Mediterraneo che non parli solo di migranti disperati. Parlare dell’Africa messa in croce di Fela per parlare dell’Africa di oggi: un continente pieno di vita, musica, balli, e di giovani, anche di giovani in lotta.