di Giorgia Olivieri (vanityfair.it, 5 giugno 2024)
«Era una vera principessa delle fiabe». Usò queste parole Christian Dior per descrivere la principessa Margaret, una delle sue clienti più illustri. Il couturier francese ammirava molto il lavoro di Norman Hartnell, lo stilista londinese che vestiva le donne della famiglia reale britannica e, in qualche modo, ne era affettuosamente geloso.
«Adoro gli inglesi» scrisse Dior nella sua autobiografia Dior by Dior «vestiti non solo con il tweed che gli sta così bene, ma anche con quegli abiti fluenti, dai colori tenui, che hanno indossato inimitabilmente fin dai tempi di Gainsborough [uno dei più celebri ritrattisti e pittori paesaggisti del XVIII secolo, N.d.R.]». Dichiaratamente anglofilo, Dior sognava di arrivare un giorno con le sue creazioni a Buckingham Palace e ci riuscì conquistando la più piccola delle figlie di re Giorgio VI. Mentre Dior fondava il suo atelier e lanciava il New Look, il suo antagonista nel 1947 realizzava l’abito da sposa per l’allora principessa Elisabetta. La futura regina del Regno Unito non poteva non scegliere il più celebre designer del Paese per quel giorno e per il guardaroba che il suo status prevedeva.
Margaret, la sorella minore, con minori responsabilità rispetto al paese, che pure per il matrimonio della sorella indossò una creazione di Hartnell, non aveva gli stessi vincoli e si lasciò successivamente ammaliare dall’arte di Dior. Alla fine degli anni Quaranta, la principessa Margaret commissionò il suo primo abito alla casa di moda parigina al civico 30 di Avenue Montaigne ma, contrariamente a quanto tramandato, non ci sono immagini. «Il mio vestito preferito in assoluto non è mai stato fotografato» ebbe modo di dire la principessa, «è stato il mio primo abito Dior, tulle bianco senza spalline e un ampio fiocco di raso sul retro». Non aveva ancora vent’anni Margaret, ma già sapeva il fatto suo anche in fatto di moda. Una qualità che Dior comprese al volo.
Passata non a caso alla storia come “la principessa ribelle”, non si curò delle critiche materne. La regina madre, infatti, giudicava sconveniente tenere le spalle scoperte e riteneva la scollatura troppo poco sobria. Mentre il resto della famiglia continuava a onorare la moda della madrepatria in un momento faticoso come l’immediato Dopoguerra, alla giovane principessa fu consentito di rivolgersi alla maison francese nel 1951 per l’abito che avrebbe indossato per il suo ventunesimo compleanno. E fu un vero trionfo. A renderlo immortale ci pensò il ritratto fotografico di Cecil Beaton. A consegnare la principessa Margaret nell’Olimpo delle fashion icon bastò la fotografia di lei che ballava a un evento di beneficenza con quella nuvola di organza caratterizzata da sette strati di gonna.
Dior fu tra i primi a beneficiare del royal touch grazie al sodalizio con la principessa, che suscitava scalpore ad ogni uscita. «Cristallizzava tutto il frenetico interesse popolare per i reali» dichiarò lo stilista, «era una vera principessa delle fiabe, delicata, aggraziata, raffinata». «Tutto quello che indossa è notizia» osservò il Picture Post, una rivista molto nota in quegli anni, «lo vedono migliaia di donne di persona, centinaia di migliaia nei cinegiornali, milioni di persone che leggono giornali e riviste. I suoi vestiti e i suoi cappelli vengono copiati, modificati e venduti alle ragazze di tutto il Paese in poche settimane. Tutta la sua vita è un’apparizione pubblica. È conosciuta come la principessa che ama i vestiti». Non sembra di leggere un resoconto di oggi? Molto prima della principessa Diana, di Kate Middleton o Meghan Markle, c’era Margaret a influenzare i costumi.
Tra Elisabetta e Margaret c’erano solo quattro anni di differenza, e un abisso per quanto riguarda lo stile. La regina è riuscita a diventare un’icona immortale rimanendo sé stessa per tutta la vita; la sorella è invece riuscita nell’intento stabilendo da sola le sue regole, in barba all’etichetta. Lo mise nero su bianco il Telegraph nel 1951 quando annotò che la principessa che aveva osato partecipare a una festa sans chapeau, senza cappello. Elisabetta, sartorialmente seguita da Norman Hartnell, era inappuntabile. Margaret prendeva tutti gli elementi dello stile del suo tempo e ci cuciva sopra un piccolo azzardo: un orlo più corto, una vita più stretta, un accessorio più appariscente.
Si parlava di un “The Margaret Look”, una definizione che sottolineava il quid in più della reale che non amava le costrizioni di Corte tanto da innamorarsi pure di un uomo divorziato, Peter Townsend, scudiero di suo padre prima e di sua sorella poi. «La disobbedienza è la mia gioia» confidò a Jean Cocteau la principessa che, riguardo alla sua privacy, si sentiva come «un pesce rosso in un acquario». Adorava giocare con gli obiettivi dei fotografi, che erano pazzi lei. E come non esserlo quando, di fronte, c’è una rappresentante della monarchia più famosa del mondo vestita come una celebrità di Hollywood?
Per comprenderne la personalità, scomodiamo un diadema. La celeberrima Poltimore tiara, conosciuta da tutti più che per essere stata indossata il giorno del matrimonio, per essere stata immortalata dal futuro marito fotografo David Armstrong-Jones sulla testa di Margaret nuda nella vasca da bagno (una scena raccontata anche nella serie tv The Crown). Mentre di solito si va in cassaforte a vedere cosa hanno da offrire le collezioni reali, la principessa si comprò da sola la tiara aggiudicandosela a un’asta per 5.500 sterline del tempo. Un pezzo di ottima fattura e con una storia, senza dubbio, ma non quella di casa Windsor bensì quella di Lady Poltimore, che l’aveva sfoggiata nel 1911 per l’incoronazione di Giorgio V.
Per quelle nozze celebrate il 6 maggio 1960 cedette a Norman Hartnell, che, nel frattempo, si era adeguato ai tempi, rinunciando ai ricami preziosi e alle silhouette vaporose. Non che Margaret non gradisse il genere (il butterfly dress del designer britannico rimane uno dei più memorabili nel guardaroba della giovane principessa), era piuttosto il promesso sposo, che con quelle nozze avrebbe acquisito il titolo di Lord Snowdon, a non volere glitter o decorazioni. La rivista Life lo definì «l’abito da sposa reale più semplice della Storia», ma questo non impedì alla principessa di chiedere una gonna vaporosissima realizzata con trenta metri di tessuto.
Margaret sapeva benissimo come valorizzarsi. Soffriva un po’ il suo essere minuta (pare fosse alta solo un metro e 55 centimetri), quindi con una tiara che le donava ben quattro o cinque centimetri si sarebbe sentita più a suo agio. Dopo il matrimonio, quel diadema non è certo rimasto chiuso nel cassetto. Ha accompagnato Margaret per una vita intera e dopo la sua morte, avvenuta nel 2002, nel 2006, è stato venduto all’asta per 1,3 milioni di euro finendo chissà dove. «Ci abbiamo pensato a lungo se includere o no la tiara ma penso che anche mia madre avrebbe pensato che fosse una buona idea» dichiarò il figlio David Armostrong-Jones al Telegraph nel 2007, «era un pezzo iconico, ma chi in famiglia sarebbe stato in grado di indossarlo rispetto all’opportunità che dava? È stata una decisione molto razionale».
Margaret aveva un gusto sopraffino anche in fatto di gioielli e in questo era aiutata dal marito Lord Snowdon. Fu proprio lui a disegnare l’anello di fidanzamento pensandolo come un omaggio alla fidanzata, che aveva Rose come secondo nome. Il rubino centrale doveva richiamare il colore di una rosa con petali di diamanti attorno, proprio come un fiore. I due fecero la fortuna di due designer di gioielli, Andrew Grima, considerato il padre della gioielleria contemporanea, e John Donald, un maestro molto attivo su Londra negli stessi anni. Se Elisabetta faceva sfoggio dei cimeli di famiglia, ricchi di storia e di tradizione, Margaret sapeva che indossando spille, orecchini e bracciali dal design ricercato, ma soprattutto moderno, poteva distinguersi ancora di più e sfuggire al continuo confronto con la sorella.
Del resto, era difficile sovrapporle anche in virtù dei loro mariti. Carattere marziale quello di Filippo di Edimburgo, un artista a tutto tondo Armstrong-Jones. La coppia era una mano santa per i giornali e per i lettori dei rotocalchi. Abbracciavano appieno tutte le nuove tendenze, su tutte quella della Swinging London, di cui erano fieri testimonial anche quando andavano in tour all’estero, mandando il pubblico di ogni terra che visitavano, più o meno ufficialmente, in brodo di giuggiole. Margaret aveva a disposizione un pezzetto di paradiso in un’isola caraibica, Mustique. Lì, al riparo da tutto e da tutti, lasciava i capelli al vento, sfoggiava gioielli vistosi e caftani sfacciatamente colorati e floreali: questa era la divisa per il suo buen retiro.
Negli anni Ottanta, archiviato sia il matrimonio con Lord Snowdon sia la relazione con Roddy Llewellyn, Margaret continuò a portare avanti le sue attività fatte di inaugurazioni, debutti a teatro, mostre, prime visioni e tagli di nastri, e lo fece sempre con la sua irriverente eleganza. Lungi da lei l’idea di fare un passo indietro, posava accanto a Diana, amatissima come lei dalla stampa e di trent’anni più giovane, senza mai fare un plissé. Non poteva esserci competizione quando c’era la consapevolezza di essere stata una pioniera su quel terreno di gioco. Una biografia della principessa curata da Karen Dolby, The Wicked Wit of Princess Margaret, riporta le parole che avrebbe speso la reale sull’argomento: «La principessa del Galles ha detto tutte le cose che dicevo venticinque anni fa» si legge nel libro, «i vestiti non sono la sua prima preoccupazione e nemmeno la mia. Ma i giornalisti di moda insistono a trattarla nello stesso modo in cui sono stata trattata io, come se fossimo personaggi irreali usciti direttamente da Dynasty».
Dynasty era serie televisiva che impazzava in quel decennio, e Margaret non aveva nulla da invidiare allo stile scintillante delle sue protagoniste: la bionda Krystle (interpretata da Linda Evans), ma soprattutto la gigantesca Joan Collins nel ruolo di Alexis. In fondo anche la principessa Margaret è stata uno dei personaggi principali di una soap opera infinita, che continua tuttora. Le faccende reali sono ancora un ghiotto passatempo per lettori di tutto il mondo. Non c’è protocollo infranto da Meghan o Kate che non sia stato “rotto” con largo anticipo da Margaret, la prima fashion icon della Royal Family nell’era moderna. Studiarla significa partire dalle basi. Una figura necessaria per capire meglio le dinamiche di oggi, anche quelle che passano dal guardaroba.