La politica, i social e il ddl Zan: quanto pesa il post di un influencer?

di Ruggiero Montenegro (ilfoglio.it, 7 luglio 2021)

La polemica a colpi di hashtag scoppiata ieri sulla legge Zan tra Chiara Ferragni e Matteo Renzi è solo il più recente degli episodi. L’ulteriore certificazione del ruolo sempre più attivo e pervasivo che ricoprono alcuni influencer nella sfera pubblica e politica. Un fenomeno che non si scopre oggi, ma che negli ultimi mesi ha assunto proporzioni più grandi: tra gennaio e giugno sono 5 milioni le persone raggiunte sui social dai messaggi dei personaggi più famosi che hanno detto la loro sulla discussa legge contro l’omotransfobia. La stima arriva da una ricerca firmata Buzzoole.

Una compagnia specializzata in servizi e tecnologie per l’influencer marketing che ha monitorato per sei mesi i principali social network, individuando oltre 12mila contenuti pubblicati da influencer, più e meno noti, caratterizzati da hashtag che fanno riferimento al ddl Zan. Post visualizzati anche da 1,1 milioni utenti unici, come nel caso dell’opinionista e personaggio televisivo Tommaso Zorzi su Instagram, che risulta essere anche la piattaforma più utilizzata. Da qui, infatti, arriva il 44 per cento di questi contenuti, mentre 1 influencer su 4 ricorre a Facebook e il 17 per cento a Twitter, con YouTube e TikTok che non arrivano alla doppia cifra. La narrazione segue un copione variabile, con messaggi che spaziano dalle esperienze personali all’informazione fino alle interviste, come nel caso di Fedez e della diretta con il deputato Pd Alessandro Zan. Numeri ed esempi che incuriosiscono e invitano a ragionare sul peso che questi personaggi esercitano sul discorso politico e sull’opinione pubblica. Per capire se, e in che misura, questa visibilità si traduca nei comportamenti degli utenti, nelle interazioni social e in quelle sociali. «Grazie agli influencer il dibattito pubblico su determinati temi di carattere sociale, e in particolare sul ddl Zan, ha raggiunto un pubblico poco propenso all’informazione più tradizionale. E questo è sicuramente un merito», dice Vincenzo Cosenza, Chief Marketing Officer (Cmo) di Buzzoole, che ha seguito in prima persona la ricerca. «Ma è difficile ipotizzare effettivamente quali comportamenti abbiano prodotto» continua Cosenza. «Quello che sappiamo, secondo una ricerca condotta da Nielsen (società che si occupa di marketing e indagini di mercato) a cui abbiamo collaborato, è che il 77 per cento degli italiani dai 18 anni in su ha fiducia negli influencer quando parla di prodotti e servizi. Un dato che sale fino all’83 per cento nel caso in cui i temi affrontati siano di carattere sociale».

E allora non è un caso che siano sempre di più le star dei social a mettersi in gioco, anche correndo il rischio di esporsi su questioni divisive. «Le foto leggere probabilmente acchiappano più like, ma questo non vuol dire che i temi sociali siano meno apprezzati», spiega ancora il dirigente, che delinea «una nuova tendenza che sta emergendo. Una parte degli influencer, infatti, sta mutando il proprio ruolo, ha capito di aver un peso nell’ecosistema mediatico, di poter occupare uno spazio che i canali di informazione classici non riempiono». Ma quando inizia questa nuova fase? «Questa dinamica si è innescata almeno un paio di anni fa e ha trovato nel ddl Zan un grande catalizzatore. Già nel 2020 abbiamo contato 110mila post sui vari social network italiani su tematiche sociali, un aumento del 35 per cento rispetto all’anno prima. Temi che vanno dal razzismo alla discriminazione di genere fino alla body positivity. E a questo tipo di contenuti si sommano poi quelli legati al Covid-19, rispetto al quale tanti influencer hanno mostrato una grande sensibilità». Viene da chiedersi però se non ci sia anche un certo opportunismo, un calcolo economico-commerciale o un ritorno in termini di visibilità, che porta gli influencer a sostenere un certo tipo di battaglie. A maggior ragione sul ddl Zan, che occupa ormai da mesi l’agenda politica e mediatica italiana. «È difficile sostenere che ci sia una reale convenienza, proprio a causa della natura divisiva di questa legge. Chi lo fa, abbraccia convintamente il tema», sottolinea Cosenza. «Non è come la sostenibilità o la cura del pianeta, temi che raccolgono un consenso trasversale o che in passato sono stati oggetto di greenwashing. Chi parla di ddl Zan e di discriminazioni» conclude Cosenza, «lo fa in maniera sincera e spesso sulla base di esperienze personali».

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