di Massimo Sebastiani (ansa.it, 11 aprile 2020)
Da quando esistono le maschere, inevitabilmente, esiste anche l’ossessione di scoprire cosa c’è dietro. È la natura stessa dell’oggetto e il motivo per cui è nato, a generare quell’interrogativo. Ciò che nasconde spinge anche a cercare la rivelazione, il disvelamento. Una delle espressioni più antiche legata alla parola è non a caso “Ti conosco mascherina” e dice già tutto dell’armamentario simbolico che entra in gioco con la parola: nonostante le apparenze, non ci facciamo ingannare.
Ma non è sempre detto che una maschera nasconda e basta. Anzi.
Non abbiamo mai parlato di maschere, nella versione diminutiva di mascherine, come in questo periodo. Le abbiamo disperatamente cercate, la necessità di indossarle è stata oggetto di controversia anche ai massimi livelli, e chi le porta tutti i giorni per lavoro, i medici e gli infermieri, è diventato metafora stessa del supereroe dei nostri giorni. L’ambivalenza e il fascino della parola maschera risiedono nella sua stessa origine. La sua etimologia è, infatti, piuttosto incerta: potrebbe derivare da masca, espressione regionale che in Piemonte e Liguria indica la strega e che si ritrova nel tardo latino dell’editto di Rotari, la raccolta di leggi longobarde che prende il nome dal re, promulgato nel 643. L’editto cita l’espressione per stabilire che dare un tale nome ad una donna è un’ingiuria punibile dalla legge. Questo significato del termine lo avvicina a quello di fantasma e spirito che è uno degli slittamenti possibili dell’espressione maschera, un oggetto che si indossava e si indossa in alcune culture tradizionali per abbandonare la propria identità e trasformarsi in uno spirito. Ma c’è chi fa risalire la parola all’espressione araba mashara o masharat che vuol dire buffonata, burla; o ancora allo spagnolo e al catalano portoghese e francese mascarel, che vuol dire macchia nera sul viso e da cui discende ovviamente il mascara delle donne.
I motivi del travisamento, del mascheramento, possono essere dunque molto diversi. La maschera può nascondere e quindi proteggere (è il caso della maschera del teatro che veniva indossata dalla guardia per giudicare, mantenendo il proprio anonimato, che venisse rispettata la distribuzione dei posti; oppure la maschera antigas) ma anche dare un’identità, magari collettiva. Come nel caso dello spirito delle antiche culture, o anche in fenomeni più recenti come quello della maschera di Guy Fawkes, leader della Congiura delle Polveri, che è stata ereditata dal film V per Vendetta e fatta propria dall’attivismo di Anonymous e poi di altri movimenti come Occupy Wall Street, fino a quella ispirata al volto di Salvador Dalí dei componenti della banda della serie tv La casa di carta. Insomma, anonimato e identità si intrecciano nell’idea della maschera. Così come costrizione (la Maschera di Ferro nel Visconte di Bragelonne di Dumas, o quella contenitiva indossata da Hannibal Lecter nei romanzi di Thomas Harris e nei film che ne sono stati tratti) o liberazione (la maschera del Carnevale che, in origine, consentiva di fare cose che nella vita di tutti i giorni non era lecito fare, o quella indossata dai protagonisti dell’orgia in Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick).
D’altra parte Gustav Jung, uno dei fondatori della psicanalisi moderna, ha parlato di quattro maschere per indicare le fasi di sviluppo individuale: la Persona (che in latino significa, appunto, maschera); poi l’Ombra, il nostro lato oscuro; l’Anima, qualcosa di simile al profondo; e infine il Vecchio saggio. La ricchezza di riferimenti è tale che il gusto dell’aforisma con al centro la parola maschera è debordante: rintracciare centinaia di citazioni con l’espressione maschera è facilissimo: “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti” (Luigi Pirandello), “Il mentitore a cui si ritira la propria maschera prova la stessa indignazione che se l’avessero sfigurato” (Jean Rostand), fino al celebre “Ogni uomo mente ma dategli una maschera e sarà sincero” di Oscar Wilde. Se ne è accorto anche uno scrittore silenzioso e sottile come Mauro Covacich, che in un bell’intervento sulla Lettura del Corriere della Sera ha scritto: “Le mascherine hanno sulle loro facce uno strano effetto rivelatore. È come se nascondendo i lineamenti tradissero la preoccupazione, l’angoscia che c’è dentro le teste. Sembra paradossale, ma il volto scoperto ha più possibilità di fingere”. Dietro la maschera, invece, si può addirittura controllare tutto un mondo, come canta Michael Jackson in Behind the Mask.