di Adalgisa Marrocco (huffingtonpost.it, 20 agosto 2024)
“Camerata”, senza se e senza ma. Roberto Vannacci lo aveva dichiarato fin dalla sua campagna elettorale per le Europee: non avrebbe rinunciato a utilizzare questo termine solo perché in passato è stato impiegato da “altri”. Così, in aperta sfida ai sostenitori del pensiero unico, ha deciso di continuare a farne uso.
«Non mi piego alle distorsioni pretestuose di chi vuole abolire determinate parole, riscrivere la storia e rifiutare, ad esempio, il termine “camerata”, che descrive il legame profondo tra persone che condividono la vita militare», aveva dichiarato. E su questo punto è rimasto fermo: anche nell’intervista odierna al Corriere della Sera, parlando del colonnello Fabio Filomeni, amico, braccio destro e demiurgo del misterioso progetto vannacciano (che, precisa, non sarà un partito), ha ritenuto che “camerata” fosse il termine più adatto.
Ma, si sa, le parole sono importanti. E, si sa ancora meglio, il sostantivo tanto caro a Vannacci rievoca capitoli oscuri della nostra Storia, pagine di camicie nere e manganelli. Basterebbe rileggere ciò che Umberto Eco scrisse nel 1995 per una conferenza alla Columbia University (il cui testo è edito da La Nave di Teseo – N.d.R.): tra le quattordici caratteristiche dell’“Ur-Fascismo”, o “fascismo eterno”, il semiologo menzionava la “neolingua littoria”, che «dobbiamo essere pronti a identificare» anche laddove prenda «la forma innocente di un popolare talk-show».
Eco sottolineava come la manipolazione linguistica riflettesse l’esigenza del potere mussoliniano di semplificare la comunicazione, rendendola immediata e facilmente memorizzabile, con l’obiettivo di “totalizzare” persino il vocabolario. E ancora, citando il pensiero del drammaturgo e saggista Eugène Ionesco, ricordava che «solo le parole contano e il resto sono chiacchiere», mentre le abitudini linguistiche sono spesso sintomi importanti di sentimenti inespressi. Ecco perché con le parole non si dovrebbe giocare.
La riflessione di Eco si riflette in analisi più recenti, come il saggio Le parole del fascismo. Come la dittatura ha cambiato l’italiano, pubblicato nel 2023 per i tipi dell’Accademia della Crusca in collaborazione con la Repubblica. Gli autori, i linguisti Valeria Della Valle e Riccardo Gualdo, dimostrano come la propaganda del regime fascista abbia inciso profondamente sulla lingua e sulla quotidianità italiana, dal vocabolario pubblico fino alla toponomastica e all’onomastica (quante persone di nome Benito conosciamo ancora oggi?).
Il volume include un glossario dei termini del periodo fascista, spaziando da sostantivi come “adunata” a slogan come “me ne frego!”. E qui potremmo dire che Vannacci “se ne frega” se qualcuno critica il suo uso della parola “camerata”. Ma questo non farebbe altro che dimostrare come, oltre ai monumenti e alle iscrizioni lasciateci in eredità dal regime, oggi il linguaggio fascista continui a persistere in diversi ambiti.
Claudio Marazzini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca, nella prefazione al saggio di Della Valle e Gualdo, spiega che questo è evidente dall’eredità nei movimenti politici, sia parlamentari sia extraparlamentari; la permanenza di alcune innovazioni lessicali e retoriche massicciamente diffuse dalla propaganda; e l’assimilazione mimetica, conscia o inconscia, del vocabolario fascista da parte di moltissimi italiani nati all’inizio del Novecento o durante il Ventennio, cresciuti in un ambiente linguistico pervaso da un’ideologia nazionalista e autoritaria, decisamente maschilista, spesso razzista e successivamente diffusamente antisemita.
Questi elementi, aggiunge Marazzini, sono tenuti in vita «sia dalla comunicazione post-fascista di alcune formazioni di destra, sia dalla compiaciuta e quasi morbosa attenzione dei mezzi di comunicazione di massa». Guardando all’oggi, Della Valle e Gualdo osservano che i post-fascisti al governo respingono l’identificazione con la dittatura, ma mostrano una certa indulgenza verso la rievocazione di simboli e parole del regime. Dall’altra parte, quella più estrema, movimenti come Forza Nuova e CasaPound non esitano a rifarsi apertamente al regime fascista con slogan e dichiarazioni esplicite.
E dunque, che fare? Gli autori spiegano che «la memoria del fascismo storico è ancora persistente nel discorso pubblico, e che alcuni residui della sua ideologia continuano a intossicare la mentalità italiana. Averne coscienza non impedirà forse l’equiparazione – politicamente e storicamente inaccettabile – tra fascismo e anti-fascismo, ma può almeno rafforzare gli anticorpi della società contro il rischio, sempre presente, di erosione dei valori democratici». Caro generale, prenda nota.