di Filippo Ceccarelli («la Repubblica», 5 gennaio 2018)
Quesito malizioso, ma non troppo: non sarà che la normalizzazione dei grillini passa per la cronaca rosa patinata, il casting a tendenza vippaiola e il parassitismo elettorale ad alto impatto di cronaca?Detta sempre in modo non proprio candido, ma distaccato: pare negli ultimi tre-quattro mesi di scorgere una nuova e astuta corrispondenza, un filo audace e melenso che tiene insieme le lettere di Dibba al neonatino, il selfie del senatore Crimi che sulle nevi tocca il pancione alla compagna deputata Carinelli e il senso di alcuni nomi di imminenti parlamentari esterni al MoVimento che grazie al magnifico Rosatellum riusciranno certamente premiati dalle prossime elezioni. Non servono troppi approfondimenti, né troppo occorre lambiccarsi sugli aggettivi per spiegare perché, in modalità Di Maio, il M5S ha deciso di offrire una poltrona alla iena Dino Giarrusso, che ha importato il modello molestie in Italia. E al Comandante De Falco, che con brusca decisione e un linguaggio consono a quel momento drammatico ha richiamato ai suoi doveri Capitan Schettino, czz. Si tratta di figure non solo parecchio viste, ascoltate e vissute in tv, ma soprattutto a loro modo esemplari. Allo stesso modo è chiaro il doppio e speculare consenso che si calcola di poter costruire attorno ai due giornalisti indicati per la sicura ricompensa. L’uno, Carelli, di sorvegliata e composta carriera tra Mediaset e Sky, a tal punto pacato e istituzionale da essere apprezzato anche nei diffidenti palazzi lateranensi e magari perfino apostolici. L’altro, Paragone, con berretto, chitarra, “Skassakasta” band e provvisorio insediamento nella trash-tv di seconda serata. Quanto basta evidentemente, nel nuovo mood post-grillino, a purificarlo dall’essersi egli trovato nel biennio 2005-2006, con grande entusiasmo seppure a spese del contribuente, niente meno che alla guida del prezioso quotidiano della Lega; e come tale aver dunque contribuito alla crescita culturale della Nord Nazione firmando articoli dal titolo: “In piedi, Padania!”, per dire, oppure “Bossi, Pontida è tua!”, o anche “La favola di Finocchio”, quest’ultimo invero non proprio amichevole nel riguardi delle allora abbastanza lontane unioni civili. Ma pazienza, erano quelli gli anni dei Valori irrinunciabili, e il trasformismo pop non è poi merce così rara sulle bancarelle del mercato elettorale. Appunto. La novità è che nella formazione delle liste i cinque stelle cominciano a regolarsi esattamente come tutti. Di più: fanno proprio ciò che i loro avversari gli hanno insegnato. Sul piano tecnico, certo, sulle candidature devono ancora fare qualche sforzo in più. L’attrice molestata per ora non basta. Gli mancano: la bella gnocca di derivazione berlusconiana, il caso pietoso ed edificante alla Veltroni, la zampata renziana dell’astronauta, il conduttore tv martirizzato, il campione sportivo di tutti e di nessuno. E ci si sentirebbe anche cinici a maltrattare i processi decisionali dei partiti, se non fosse che una più che trentennale esperienza e il terribile stato in cui versa il Parlamento non confermassero il costante ricorso, da parte loro, a figurine da incollare sull’album e specchietti per le allodole. Con il che viene fuori adesso che i grillini, imparata la lezione, non fanno più gli esami del sangue a nessuno e, pure con una certa fretta, vanno proiettando l’antica purezza in una zona dell’immaginario che sta tra Parlamento in, vecchia trasmissione di Carelli, e L’isola dei famosi, non del tutto implausibile approdo di Paragone. È un bene? È un male? Con tutto il rispetto: boh. Certo dopo aver visto l’azzimatissimo Di Maio consegnarsi in rapida e convulsa sequenza ai banchieri di Cernobbio, all’autodromo di Monza, al sangue di San Gennaro, agli Usa, a Lino Banfi e monsignor Parolin, un po’ era già nell’aria, questa mutazione. Se poi si aggiunge che al giorno d’oggi l’intimate politics, con le sue efficaci lusinghe e ruffianerie, dice più dei sondaggi generalmente truffaldini, vale la pena di ritornare alla copertina concordata di Oggi in cui Di Maio e Cancelleri, prima delle elezioni siciliane, abbracciavano in posa le rispettive compagne e “Prima votiamo – era lo strillo – e poi ci sposiamo”. Ora sembra che le cose siano andate in maniera diversa. Ma anche in quel modo, con buona pace di Re Grillo, proclamato l’altro giorno garante a vita, si iniziava ad annunciare la fine della diversità, dell’incontaminazione, dell’anomalia, dell’alterità – e Raggi, all’Opera, sfoggiava il vestito di Anna Magnani. Crudele infatti è il gioco del potere, dal niente al troppo: se i cinque stelle si arroccano è una setta, se si aprono è l’omologazione al basso. Volevano aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, verrebbe quasi voglia di chiedergli la marca per mettere a fuoco lo spot, tonno nostromo, tonno grissino, tonno insuperabile, tonno in barattolo di vetro trasparente.