di Marino Niola («la Repubblica», 29 settembre 2018)
La regina Elisabetta ha un’arma segreta. Una piccola mano di legno semovente, che saluta i suoi sudditi con tanta grazia. A rendere noto il trucco elisabettiano è stata la figlia Anna, che lo ha rivelato a Robert Hardman, noto biografo reale e autore del bestseller Queen of the World, nonché del documentario omonimo che sta spopolando nel Regno Unito.
La mano di scorta veste sempre un guanto perfettamente identico a quelli che la regina indossa davvero quel giorno. Per non destare sospetti e non deludere la folla. Il marchingegno reale si aziona con una leva e fa compiere quella lieve torsione della mano piena di compostezza e di bon ton che è diventata il paradigma del saluto di corte. Tant’è che le reali nuore-nipoti Kate e Meghan lo hanno imparato a memoria e lo replicano in tutte le loro uscite pubbliche. Matrimoni compresi. Al punto che la Bbc, durante la diretta fiume del royal wedding di maggio, ha elogiato la moglie americana perché, abbandonato lo spontaneismo a stelle e strisce, ha saputo serrare graziosamente le dita salutando la folla festante con il garbo imperturbabile di una vera pari d’Inghilterra. Il terzo arto è stato inventato da un gruppo di studenti australiani che hanno avuto la faccia tosta di spedirlo a Buckingham Palace. Tutti si aspettavano che suscitasse l’ira e lo sdegno della sovrana che, a sorpresa, si è invece mostrata entusiasta del pensiero. Addirittura “elettrizzata”, ha aggiunto la principessa Anna. E non c’è da stupirsi, visto che a novantadue anni tenere il braccio sollevato per ore non è una fatica di poco conto. E quindi ben venga l’aiutino. In realtà, la Corte smentisce che Elisabetta abbia già fatto ricorso alla fake hand. Forse nel timore che l’escamotage faccia apparire meno autentico agli occhi dei sudditi il comportamento pubblico della regnante. Svelando in maniera troppo scoperta che la rappresentazione della regalità è in buona parte una recita.
E invece è proprio questa regalità a costituire da sempre l’essenza simbolica del potere regio. Non a caso, nelle monarchie europee e in alcuni grandi regni africani si è ritenuto a lungo che la vera sede dell’autorità fosse la mano destra, quella che impugna lo scettro e che saluta il popolo. Per questo, nei cerimoniali della successione al trono, al nuovo re veniva consegnata in pompa magna la mano destra del suo predecessore. Per sottolineare che il regno passa letteralmente di mano in mano. Proprio come il testimone di una staffetta. E in fondo la sovranità è una corsa a ostacoli con l’eternità. Un gioco a nascondino con la Storia e le sue incognite. Nel senso che il corpo reale può anche indebolirsi o morire. Ma la sua funzione pubblica deve rimanere al riparo dai colpi della vita. Per questo i giuristi medievali dicevano che il re, ad immagine e somiglianza di Cristo, ha due corpi. Quello fisico, che nasce e muore. E quello politico, che coincide con l’immortalità del corpo sociale. Alle corti d’Inghilterra e di Francia nel Rinascimento si fabbricavano addirittura manichini di legno che raffiguravano il sovrano e lo sostituivano sul trono quando era malato. Proprio per non lasciare il seggio vacante nemmeno per un solo momento. Per scongiurare il vuoto dell’interregno. Ecco perché la longevissima Elisabetta può avere tutti gli acciacchi dell’età ma la sovranità non può avere l’artrosi, né il gomito del tennista. E mostrarsi in salute è per lei un obbligo dinastico. In questo senso, la manina automatica è finta ma autentica. Come tutti i rituali pubblici. Se il vero luogo del potere è nei simboli, allora la mano morta della regina è più viva di quella vera.