Un’analisi dettagliata di un esperto rivela una fitta serie di errori e sbavature che un ritratto ufficiale non dovrebbe avere. Eppure, a ben guardare, l’estraneità dalla politica è proprio l’arma vincente del presidente
(linkiesta.it, 20 novembre 2017)
E niente, nemmeno le foto vanno bene. Dopo nove mesi di incarico effettivo, il presidente degli Usa Donald Trump ha rilasciato, insieme al vice-presidente Mike Pence, la sua fotografia ufficiale, necessaria per dare un volto definitivo da appendere ai 9.600 edifici federali dispersi per tutti gli Stati Uniti. Questa e questa:
Qual è il problema? Che l’immagine non va bene. Secondo il fotografo (ed esperto di fotografia) Doug Jackson, almeno per come ne parla su PetaPixel, contiene alcuni errori grammaticali gravissimi. L’illuminazione (solo una fonte di luce, come si può vedere dagli occhi, anziché tre, come invece succede a Pence), il bianco (troppo sbiadito), l’ombra proiettata sul lato sbagliato (dovrebbe essere proiettata a sinistra e invece è a destra), il dinamismo (contrario al senso di lettura da sinistra a destra e perciò comunica regresso anziché progresso), la visione di insieme: un disastro. Il problema è che – visto che si sarà servito della fotografa ufficiale Shealah Craighead – sarebbero stati tutti errori tollerati, decisi e assecondati se non addirittura voluti dal presidente stesso. Un autogol? L’analisi di Jackson è interessante perché, in modo tecnico, spiega le sottili differenze tra le due immagini e ne trae conclusioni psicologiche. Il problema è che, anche qui, si continua a non capire che Donald Trump non è, e soprattutto non vuole essere, un presidente come gli altri. Mike Pence, che è in politica da tutta la vita, segue la strada canonica: camicia bianchissima e luce perfetta. Uno come tutti gli altri. Alle sue spalle la bandiera americana è, come vuole la prassi, sfumata. The Donald no: le irregolarità del suo ritratto comunicano, più che “inaffidabilità”, come dice il fotografo, un grande senso di estraneità misto a dinamismo: quasi a dire “sono entrato, metto tutto a posto e poi me ne torno fuori”. È sbagliata, è vero, ma è solo perché non si tratta della fotografia di un “politico di Washington”. È quella di un presidente che ha fatto della sua inesperienza, della sua genuinità, l’arma vincente. Se si fosse fatto ritrarre come Pence, che al contrario comunica continuità e istituzionalità, avrebbe tradito la sua stessa immagine. La bandiera Usa alle sue spalle, come avviene nella realtà, è sgualcita.