di Rita Nocchi (agi.it, 19 dicembre 2022)
Per centinaia di anni, la scarpetta di vetro è stata sinonimo della storia di Cenerentola e della sua corsa di mezzanotte verso casa dopo il ballo. Ora un’accademica ha tracciato le sue origini del XVII secolo e ha scoperto un collegamento con la creazione della Sala degli Specchi al Palazzo di Versailles e le mode poco pratiche degli aristocratici francesi.
«La scarpetta di vetro è uno scherzo spiritoso» ha detto Genevieve Warwick, professoressa di Storia dell’arte all’Università di Edimburgo in un’intervista a The Guardian. Voleva essere una «mascotte letteraria della modernità economica francese» e un riferimento ironico all’amore di Luigi XIV per la moda francese stravagante e spesso donchisciottesca, specialmente per quanto riguarda le scarpe, ha detto all’Observer. «Nessuno potrebbe effettivamente camminare, figuriamoci ballare, con scarpe di vetro». Fino ad ora, secondo la Warwick, autrice di Cinderella’s Glass Slipper: Towards a Cultural History of Renaissance Materialities, gli accademici avevano trascurato il legame tra le scarpette di vetro di Cenerentola, create da Charles Perrault quando scrisse la versione definitiva della fiaba nel 1697, e la grande Galerie des Glaces a Versailles.
Perrault era il segretario incaricato di allestire i palazzi di Luigi XIV. «Era la mente dietro l’operazione di allestire la Sala degli Specchi», ha detto Warwick. La sala, lunga 73 metri, venne sontuosamente arredata da Perrault con 357 specchi di fronte a 17 enormi finestre ad arco in un’epoca in cui il vetro era un lusso moderno molto alla moda e ultra-costoso. Perrault «era anche l’amministratore incaricato di creare una vetreria reale per la Francia». Le vetrerie fecero in modo che non fosse più necessario importare vetro da Venezia per i palazzi del re. Invece, grazie a Perrault, venne fabbricato in Francia con materiali locali «molto umili». «Perrault si occupava di assicurare l’approvvigionamento alla vetreria: sabbia, cenere e legna per i fuochi. Da qui il nome di Cenerentola».