La fastidiosa ingerenza della cultura woke nei film e nelle serie tv

di Riccardo Manzotti (linkiesta.it, 3 aprile 2021)

Uno spettro si aggira per il mondo e non è il comunismo, ma una ideologia che viene imposta dall’alto attraverso l’uso strumentale del mondo dell’immaginario, abusando dei nostri beneamati eroi ed eroine per trasformarli in venditori e insegnanti infallibili dei valori di questa ideologia. Dà fastidio? A molti. A me personalmente ne dà molto perché, concedetemelo, sono refrattario a chi cerca di cambiarmi sfruttando in modo subdolo il mondo della fantasia. Ma è proprio così? Diceva Agatha Christie che una coincidenza è una coincidenza, due coincidenze fanno un indizio, ma tre coincidenze fanno una prova. E in questo caso non abbiamo solo tre coincidenze, ne abbiamo decine e decine. Di che parlo? Di una serie ininterrotta e patetica di vittime (per fortuna solo letterarie): da Star Trek a Star Wars, dal Doctor Who a Ghostbusters, da Supergirl a Batgirl.

ghostbusters-reboot-paul-feigMa chi è il responsabile? Si tratta di una cultura che, nel mondo anglofono, è stata chiamata (prima positivamente e poi negativamente) woke culture. Dell’influenza della cultura woke sul mondo dell’immaginario con effetti spesso disastrosi e controproducenti si sta discutendo molto nel mondo e, forse, ancora poco in Italia. Si tratta di un atteggiamento ideologico che ha contagiato sceneggiatori e produzioni americane e inglesi e, per molti, è una vera e propria guerra culturale. Il problema non è l’insieme di valori sociali di questo movimento: sono perfettamente legittimi e in gran parte condivisibili. Il problema è come vengono imposti e il fatto che questa strategia di propaganda, per i suoi metodi, finisce con il tradire molti dei valori stessi. Torniamo al caso concreto, i valori woke sono stati adottati da parti importanti del partito democratico americano e da sezioni molto influenti della classe colta anglosassone (soprattutto il mondo universitario). E questo non è un problema. Ognuno è libero di credere in quello che vuole. Anzi, è un segno di progresso anche perché molti di questi valori vanno a risolvere ingiustizie che affliggevano il mondo anglosassone (e in gran parte anche il nostro). Tuttavia, anche le idee migliori devono vincere per forza di convincimento e non per imposizione coatta e per propaganda. È sempre stato il problema dei buoni: non puoi vincere con i metodi dei cattivi. Ora, per una serie di meccanismi politici, è capitato che il mondo del fantastico sia stato invaso da persone che, a volte ingenuamente e a volte opportunisticamente, si sono identificate con questa cultura e hanno deciso di usare il loro potere per educare il mondo. È questo che non va bene. Abbiamo rifiutato i film di propaganda, perché dovremmo accettare i film woke?

Vediamo qualche caso concreto. La vittima più illustre e forse la perdita più dolorosa è il Doctor Who. Qui da noi non è mai stato popolarissimo (troppo inglese, figuriamoci un alieno che viaggia nel tempo dentro una cabina telefonica della polizia inglese! Intraducibile!). Nel Regno Unito, però, è una vera e propria icona. Anche in numeri assoluti è impressionante: Doctor Who è la serie televisiva più longeva al mondo (57 anni di programmazione) ed è entrata nel Guinness World Records battendo campioni come I Soprano, Beautiful e persino il nostrano Un posto al sole. Semplificando un po’, il Doctor Who sta alla cultura pop inglese come Il commissario Montalbano sta alla nostra. Per sopravvivere agli anni, uno dei trucchi narrativi è la possibilità di reincarnare (“rigenerare”) il protagonista principale, di fatto cambiando l’attore protagonista ogni lustro. Con alti e bassi la serie aveva attraversato epoche diversissime fino all’ultima generazione, quando è stata presa prigioniera di Chris Chibnall, il nuovo sceneggiatore, di chiara fede woke, che l’ha snaturata trasformando il Time Lord in una Time Lady (scritturando per il ruolo Jodie Whittaker). Il punto, ovviamente, non è il cambio di sesso (che peraltro il pubblico aveva accolto con grande entusiasmo), quanto il fatto che la serie televisiva è diventata una serie di lezioni sui valori woke impartiti al pubblico. Neanche il cambio di genere del personaggio è stato il problema (nelle serie precedenti si erano già viste combinazioni a piacere di generi e gusti sessuali). Il problema è che il pubblico sente che la trama è subordinata alla lezione morale che Chibnall ci vuole propinare. Il risultato? Crollo degli ascolti, che sono scesi al livello più basso (circa 5 milioni di spettatori contro i circa 10 dei momenti migliori).

Volete un altro esempio? Ghostbusters di Paul Feig del 2016, remake dell’omonimo campione d’incassi del 1984 di Ivan Reitman. Il nuovo film è stato realizzato sostituendo i quattro protagonisti maschili con quattro protagoniste femminili e cambiando la divertente e ironica segretaria dell’originale con un imbranato e infelice segretario, interpretato dal sempre carino Chris Hemsworth. Il film è, per usare un’espressione sintetica, un abominio volgare privo di humor dove la trama si trascina per impartire una serie di lezioni woke. Risultato? Un flop che lascia un buco di 70 milioni di dollari nelle casse della Columbia Pictures. Ma prendiamo un altro caso di cui ho già parlato anche in questa sede: Star Wars. Qui, il megadirettore galattico (©Fantozzi), ovvero Kathleen Kennedy, ha la responsabilità artistica di una trilogia che ruota intorno a un personaggio femminile, Rey (Daisy Ridley), che moltissimi giudicano una Marie Sue, ovvero un cartonato senza spessore il cui unico scopo è impartire lezioni morali insieme ad altri personaggi della trilogia, come l’antipaticissima ammiragli(a) Amilyn Holdo (non si è mai vista un’acconciatura più brutta e di un colore più improbabile), o persino la principessa Leia e la soldatessa Rose Tico. Fino ad arrivare al nuovo progetto di casa Lucas (non più del padre fondatore, il buon George Lucas, spesso reputato troppo maschilista e troppo vicino al patriarcato), cioè The High Republic, dove i personaggi vengono introdotti sulla base di una specie di Codice Cencelli della inclusività di genere (un trans, un afro, una roccia…).

Potrei andare avanti all’infinito con altri infausti e maldestri tentativi d’imporre una prospettiva ideologica al mondo del fantastico. È chiaro che una parte consistente del pubblico si è ribellata e infastidita a questa vocazione moraleggiante dei media. E infatti si è coniato il detto Go woke, get broke, che si potrebbe tradurre “L’ideologia porta alla rovina”. Uno dei sintomi rivelatori di questa deriva ideologica è la tentazione dei protagonisti di accusare il pubblico di inadeguata coscienza civile. Se al pubblico non piace The Last Jedi non sarà perché il regista, Ryan Johnson, ha scelto una trama debole e piena di buchi, ma perché il pubblico è arretrato e incapace di apprezzare personaggi femminili forti. Davvero? Peccato che personaggi come Ellen Ripley (Alien), Katniss Everdeen (The Hunger Games), Wonder Woman, Valkyrie (Thor), Imperator Furiosa (Mad Max: Fury Road), Sarah Connor (Terminator) siano sempre stati amatissimi da tutti i nerd del mondo, indipendentemente dal loro genere. Il problema è sempre e solo uno: l’inversione tra qualità artistica (anche in senso commerciale) e valore ideologico. Raccontare storie edificanti non è mai stato particolarmente divertente. Si dirà, si è sempre fatto! Anche l’Eneide, I promessi sposi o Via col vento erano animati dai valori dell’epoca e dall’ideologia. Certo, ma non li ricordiamo e li amiamo per questo. Anzi! In fondo, si tratta di un piccolo numero di casi in cui il guinzaglio dell’ideologia non ha frenato la creatività dell’autore. Della lunga schiera degli autori amati da chi possiede, gestisce e distribuisce potere e ricchezza, non ricordiamo quasi nessuno. E non si deve dimenticare un fatto fondamentale: nella nostra epoca dovremmo essere noi a scegliere personaggi e storie e non i padroni delle industrie culturali, sempre vicini al potere politico ed economico.

La deriva ideologica dell’immaginario rischia poi di tracimare nella vita reale. Lo stimato politologo canadese Eric Kaufman (Birkbeck College, University of London) ha appena pubblicato un’indagine (dal titolo significativo Crisi della libertà accademica: punizioni, discriminazioni e auto-censura) dove si vede come l’ideologia woke sta diventando un credo al quale non ci si può sottrarre per il timore di essere esclusi da una serie di possibilità sociali (tipo vincere una cattedra). Il controllo dell’immaginario non è una questione da poco: è il campo di battaglia dove si conquista il mondo reale, perché è il luogo dove si scelgono i valori in base ai quali si premiano o si puniscono le persone. È l’inversione del rapporto tra arte e morale: pensare che qualcosa sia bello perché è giusto. Abbiamo combattuto anni per uscire da questa visione medievale. Non sarebbe auspicabile ricaderci ora. Ci vogliono cambiare, non tutti lo vogliono. Si può cambiare idea, ma alla pari, da essere umano a essere umano, non da imbonitore a passivo credente. I predicatori non sono mai piaciuti. Fa tristezza vedere il mondo della fantasia e della creatività contrabbandare in modo subdolo una ideologia, giusta o sbagliata che sia. Nessuna azione o idea è meritevole se imposta. È questo il vizio dell’ideologia e della propaganda, imporre quello che dovrebbe essere una scelta libera. Kathleen Kennedy, Chris Chibnall, predicatori woke… giù le mani dai nostri eroi!

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