(linkiesta.it, 29 agosto 2023)
Dopo l’Area 51 e Zodiac, uno dei misteri irrisolvibili americani è capire come Donald Trump possa ancora essere candidato alle elezioni per ridiventare presidente degli Stati Uniti nonostante quattro incriminazioni (l’ultima con foto segnaletica) per centinaia di capi di accusa tra cui cospirazione e frode. Secondo due autorevoli giuristi conservatori americani il problema non si pone perché la Costituzione impedisce già a Trump di candidarsi alla presidenza e i funzionari elettorali non solo possono, ma devono impedirgli di presentarsi al voto.
Secondo William Baude e Michael Stokes Paulsen la terza sezione del quattordicesimo emendamento è chiara: nessuno potrà essere presidente o vicepresidente degli Stati Uniti se ha «preso parte a un’insurrezione o ribellione contro di essi o abbia dato aiuto o sostegno ai loro nemici». Ovvero ciò che ha fatto Trump nel periodo che va dalle elezioni di novembre 2020 all’insurrezione del 6 gennaio 2021 a Capitol Hill. I due giuristi, che fanno parte della prestigiosa Federalist Society, hanno pubblicato la loro tesi nel numero del prossimo anno della University of Pennsylvana Law Review, sostenendo che la forza della sezione tre del quattordicesimo emendamento non è limitata concettualmente alla Guerra Civile, non è stata abrogata dalla legislazione sull’amnistia del XIX secolo.
Inoltre secondo i due giuristi i concetti di «insurrezione» e «ribellione» non sono termini antiquati da cavalli e baionette, ma coprono un’ampia gamma di comportamenti contrari all’autorità dell’ordine costituzionale e alla resistenza illegale su larga scala all’autorità governativa. Trump non solo avrebbe preso parte in maniera indiretta all’insurrezione anche solo incoraggiando i ribelli, ma ha fornito consapevolmente sostegno attivo, volontario e diretto con almeno duecento atti apparenti di pressione o condanna rivolti ai legislatori e amministratori per cambiare il risultato delle elezioni. Tutti atti provati dal rapporto finale della Camera dei rappresentanti sui fatti del 6 gennaio: dal piano per inviare falsi elettori al Congresso, alle pressioni sul vicepresidente Mike Pence per accettare questi impostori e nominare Trump presidente.
Dal punto di vista giuridico il discorso dei due professori sembra inattaccabile. Ma chi può esercitare il diritto di escludere Trump alle elezioni? Secondo Baude e Stokes Paulsen può farlo qualunque funzionario coinvolto nel sistema elettorale statunitense, dal cancelliere locale ai membri del Congresso. La squalifica dall’incarico è immediata, senza bisogno di ulteriori azioni da parte del Congresso. Tradotto: il provvedimento è auto-eseguibile e vincola i funzionari pubblici ad applicarlo. Insomma non una decisione politica, ma quasi un atto amministrativo. Non applicare la legge sarebbe come violare il giuramento costituzionale. E secondo i due giuristi a Trump e agli altri cospiratori deve essere impedito ora, e non dopo le elezioni, la possibilità di candidarsi.
La tesi dei due giuristi è stata confermata da altri illustri colleghi: Laurence Tribe, professore di Diritto liberale, e J. Michael Luttig, ex giudice conservatore della Corte d’Appello degli Stati Uniti. Luttig, che è stato nella rosa dei candidati per la Corte Suprema in quota Repubblicani, ha spiegato in un’intervista al New Yorker perché il provvedimento sarebbe auto-eseguibile, e per farlo ha citato l’età richiesta per diventare presidente degli Stati Uniti. Per aspirare alla Casa Bianca bisogna avere almeno trentacinque anni. Se un trentaduenne presentasse la propria candidatura in uno dei cinquanta Stati, il funzionario elettorale statale sarebbe obbligato dalla Costituzione americana a escluderlo subito. Inoltre, secondo Luttig la terza sezione del quattordicesimo emendamento è applicabile facilmente a Trump perché si riferisce a un’insurrezione o ribellione contro la Costituzione degli Stati Uniti e non contro gli Stati Uniti in sé. Quindi, la clausola non sarebbe limitata ai nemici in guerra contro gli Stati Uniti.
Tutto chiaro, tutto lineare. Ma come mai Trump è ancora candidato? Perché nessun funzionario statale di uno dei cinquanta Stati americani lo ha ancora escluso? La risposta la danno gli stessi Baude e Stokes Paulsen nel loro articolo: esiste un precedente controverso, il caso Griffin del 1869 e Trump potrebbe impugnarlo subito. In quel processo, il signor Caesar Griffin fu condannato per tentato omicidio dal giudice ex sudista Hugh W. Sheffey. Secondo l’imputato, Sheffrey non aveva il potere legale di emettere la sentenza perché aveva prestato servizio nella Virginia secessionista durante la Guerra Civile americana. Quindi, avendo partecipato de facto a un’insurrezione contro gli Stati Uniti in quanto secessionista non poteva ricoprire una carica pubblica. Il giudice della Corte Costituzionale Salmon Chase diede però ragione a Sheffrey non applicando alla lettera il quattordicesimo emendamento perché ciò avrebbe creato tanti precedenti in altri ex confederati in un momento cruciale in cui l’obiettivo politico era la pacificazione e il reinserimento sociale degli ex ribelli.
Con un precedente del genere, qualsiasi funzionario che applicasse la legge in uno dei cinquanta Stati americani, escludendo Trump, potrebbe subire contenziosi legali infiniti. E, soprattutto, rischierebbe di offrire una sponda al candidato repubblicano per alimentare la sua narrazione sul voto truccato e il sistema elettorale corrotto. Però quella sentenza del 1869 non è stata stabilita dalla Corte Suprema e non è vincolante per le corti federali, e secondo Baude e Stokes Paulsen l’interpretazione della terza sezione del quattordicesimo emendamento è stata tendenziosa e scorretta. Il problema, quindi, è politico: il primo funzionario che escluderà Trump farà partire un ricorso che finirà alla Corte Suprema entro le elezioni del 2024. Solo l’alta Corte potrà dirimere la questione. Ma non è detto che qualcuno avrà il coraggio di applicare la Costituzione.