La confortante afasia social di Mario Draghi

di Flavia Perina (linkiesta.it, 6 febbraio 2021)

A tre giorni dall’incarico a Mario Draghi, la politica italiana sembra già diventata più adulta. Nessuno dei già-consultati si è fatto il selfie con i corazzieri, nessuno è salito sul tetto di Montecitorio per la diretta Facebook, nessuno ha commissionato e pubblicato meme col draghetto Disney e la frase spiritosa. Restano le metafore da Mai Dire Gol (Draghi come Ronaldo, Draghi come Messi, Draghi come Baggio) ma vabbè, è il codice con cui comunicano i maschi italiani e dobbiamo sopportarlo. L’afasia social dei leader spiritosi, dei muscolari, dei sarcastici, degli specialisti in zuffe, sarà uno dei segni della prossima fase? Magari sì. È possibile che Mario Draghi faccia tendenza.

Unsplash
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Lui non è su Facebook, non è su Twitter, e figuriamoci se sta su Instagram o TikTok, esattamente come gli adulti che governano ogni Paese importante, a cominciare da Angela Merkel che ha abbandonato Fb nel 2019 con un video di 31 secondi: «Se volete seguire ancora il mio lavoro, potete farlo sulla pagina del governo federale». In questi giorni, durante le consultazioni, ogni cronista politico si è sentito in dovere di sottolineare il fatto che le informazioni sui colloqui provenivano solo dai partiti, perché non c’era un soffio che uscisse da Palazzo Chigi. «Draghi non ha ancora una struttura di comunicazione», hanno ripetuto un po’ tutti, ma è davvero difficile immaginare il nuovo presidente del Consiglio esprimersi attraverso le modalità che abbiamo conosciuto in questi anni, dalla Bestia di Matteo Salvini ai tweet firmati staff fino alle oblique “versioni autentiche” di Rocco Casalino.

Questa roba è finita, out, e presto diventerà per le forze politiche, per i leader e per i capi corrente (almeno per quelli non del tutto scemi) un ricordo della loro sregolata adolescenza. Quando potevamo affacciarci al balcone di Palazzo Chigi con lo champagne (il Movimento 5 Stelle all’epoca del reddito di cittadinanza). Quando potevamo fare i video-comizi dal tetto del Viminale (Matteo Salvini contro Virginia Raggi). Quando potevamo occupare la Commissione Affari Costituzionali con le foto di Putin (il Partito Democratico per l’informativa sui fondi russi alla Lega). Quando potevamo sfidare l’obbligo di mascherina e farci trascinare fuori dai commessi (Vittorio Sgarbi alla Camera).

Sono tutte sceneggiate imbastite “in favore di social”, per costruire le clip o le fotografie che alimentavano ogni giorno le varie macchine della propaganda, di solito in mano a ragazzini che suggerivano appunto questo: «Capo, facce Tarzan, diventerà virale». Per nutrire i like si è sputtanata la politica oltre ogni limite di decenza, trasformando il dibattito pubblico in zuffa continua su cose surreali: Carola Rakete è una zecca tedesca o un’eroina? Perché non posso dire ne*ro a un ne*ro? Si può dare del drogato a un drogato al citofono? Per non parlare delle grottesche provocazioni dei dirigenti minori, quelli sul territorio, che strafatti della stessa anfetamina per conquistare i social hanno fatto di tutto, comprese cose orribili – prendere a calci barboni, dare delle prostitute alle avversarie – di cui si sono dovuti pentire, talvolta rimettendoci il posto.

Se Draghi il no-social farà scuola, sarà un vantaggio per tutti, compreso i leader-bambini che fino a ieri si dannavano per conquistare TikTok. L’età adulta ha i suoi vantaggi, e il più importante è quello di non dovere, ogni giorno, dimostrare chi sei, quanti seguaci hai conquistato o perso, se sei ancora il ragazzo più popolare della scuola o se qualcuno ti ha rubato lo scettro di reginetta del ballo. Se Draghi il nerd – quello silenzioso e bravo – farà tendenza, la politica non diventerà più noiosa (in Italia non succede mai) ma al Recovery dei soldi potrebbe affiancarsi un Recovery delle parole e dei comportamenti: ne abbiamo quasi altrettanto bisogno.

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