La Bella e la Bestia: i due volti dell’Italia

di Nicola Mirenzi (huffingtonpost.it, 20 settembre 2019)

Lei è la Bella. Lui è la Bestia. Lei influenza la moda, il costume, i desideri delle persone. Lui la politica, l’umore pubblico, il linguaggio collettivo. Lei è internazionalissima. Lui è il custode dei confini italiani. Lei è Chiara Ferragni, lui è Matteo Salvini. In comune, hanno la strepitosa capacità di usare i social network, il successo e un Paese che li segue. O, forse, sono due paesi diversi.Salvini-FerragniTra ieri e l’altro ieri, l’Italia della Bella è andata al cinema a vedere il documentario che Elisa Amoruso le ha dedicato, Unposted, già diventato un fenomeno. In due giorni, ha incassato più di un milione di euro, raggiungendo il secondo posto dei film più visti in Italia, dopo C’era una volta a… Hollywood di Quentin Tarantino. Centocinquemila persone sono andate in sala a vedere il racconto dell’ascesa di questa trentaduenne, diventata la più grande influencer del mondo, secondo la classifica di Forbes, partendo da un blog aperto quando aveva sedici anni, per puro gioco. E poi trasformatasi in un’icona mondiale, con diciassette milioni di follower su Instagram, l’equivalente della popolazione dell’Olanda. Un risultato costruito adoperando sempre la stessa formula: moda più vita privata.

La meccanica del successo – a osservarla senza prestare, per un attimo, troppa attenzione ai contenuti – è la stessa che ha usato Matteo Salvini, l’uomo che è diventato uno dei più grandi influencer della scena politica italiana usando i social come una perfetta macchina da propaganda, unendo i selfie con il pane e Nutella ai post contro le Ong, le foto con Elisa Isoardi alle invettive contro l’“immigrazione incontrollata”. La fabbrica del consenso del capo della Lega ha un nome: la Bestia. Quella di Chiara Ferragni no, ma la chiameremo la Bella, dal momento che della bellezza ha fatto il suo core business. Così come la macchina di Salvini ha fatto della rabbia dell’Italia impoverita la sua ragion d’essere. La Bella e la Bestia.

Già il Financial Times, quando, a febbraio, ha intervistato la Ferragni, ha messo in contrapposizione queste due figure dell’Italia contemporanea, a prima vista difficilmente accostabili. Opponendo l’“internazionalismo” di Chiara Ferragni alla retorica del “declino” e della “paura” tipica di Matteo Salvini. Come se fossero due Italie diverse. O, almeno, due diverse storie d’Italia.

Quella di Chiara Ferragni è la storia di una donna che è riuscita a costruire il suo successo abbattendo le frontiere degli stati-nazione. Anche se, certo, prima gli italiani sono quelli che le sono andati dietro. Poi però – ed è quello che più conta – sono arrivati i follower di tutto il resto del mondo. L’Europa, soprattutto. Ma anche l’Asia, e l’America. Nei suoi corsi, l’Harvard Businnes School l’ha usata come un caso di studio. La sua, in effetti, è la storia della globalizzazione che offre opportunità di ascesa sociale; la globalizzazione che produce ricchezza, grazie alla quale si possono realizzare i sogni. Mentre nel racconto di Matteo Salvini la globalizzazione è tutta un’altra cosa: toglie lavoro, delocalizza le fabbriche, crea gli immigrati, produce insicurezza. È l’altra faccia della medaglia.

“Sono felice di essere fonte di ispirazione”, ha detto Chiara Ferragni parlando del documentario che le è stato dedicato e del motivo per il quale il pubblico è andato a vederlo in massa. Nella sua storia le persone vedono ciò che potrebbero essere, o forse vorrebbero essere. Per questo, il suo consiglio è: “Siate determinati a realizzare i vostri sogni”. Tutto può accadere. Basta guardare lei. Seguirne l’esempio.

Al contrario, Matteo Salvini non si pone mai nei confronti di chi lo segue come un traguardo da raggiungere. Piuttosto, gli dice in continuazione: “Io sono come te. Sono esattamente come te”. L’una spinge ad andare oltre sé stessi. L’altro incita a rimanere sé stessi. La prima indica la via di un’avventura, l’altro quella di una certezza. E, forse, c’era già tutto in un libro che, anni fa, Giulio Tremonti dedicò alla globalizzazione: La paura e la speranza, si chiamava. Non sono poi questi i sentimenti che suscitano la Bella e la Bestia?

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