
di Francesco Cundari (linkiesta.it, 14 gennaio 2025)
Sottoposti come siamo a un bombardamento costante di insensatezze sempre più grottesche, è probabile, è umano, è persino auspicabile che abbiate già dimenticato la disfida dei tecnomiliardari. Mi prendo dunque volentieri – perché dovrei soffrire solo io? – il compito di ricordarvelo. Estate 2023. Attraverso un breve scambio di tweet, post, icsate sui rispettivi social network, Elon Musk sfida Mark Zuckerberg a un combattimento “nella gabbia”, come usa negli incontri di arti marziali miste tanto cari alla nuova destra trumpiana.
Trattandosi chiaramente di una smargiassata da b-movie americano, i vertici del governo italiano non tardano a scendere in campo, offrendo il nostro Paese come teatro dello storico evento. Gennaro Sangiuliano, allora ministro della Cultura (lo so, lo avevate rimosso, è umano anche questo), assicura via X di avere avuto una «lunga e amichevole conversazione con @elonmusk su un grande evento di evocazione storica» e poco dopo è lo stesso Musk, sempre su X, a dichiarare: «Ho parlato con la presidente del Consiglio italiana e con il ministro della Cultura». Evidentemente è anche così, dando spago alle fanfaronate di un miliardario annoiato, che si costruisce una relazione speciale.
Fino a ieri questa era solo una delle tante storie ridicole e al tempo stesso inquietanti che si potevano raccontare attorno agli emiri del Web, una delle tante spacconate da maschio tossico del proprietario di X destinate a finire nel nulla. Ma dopo aver visto il modo in cui Zuckerberg si è pubblicamente umiliato, smantellando ogni sistema di moderazione dei contenuti sulle sue piattaforme e ogni politica a tutela di inclusione e diversità nella sua azienda, e soprattutto aggregandosi buon ultimo alla crociata dei tecnoligarchi contro ogni tentativo di regolare la Rete, dunque contro l’Europa, potremmo dire che il famigerato incontro, in un certo senso, si è già tenuto, e a vincerlo è stato Musk. Per sottomissione, come direbbero i suoi amici della Ultimate Fighting Championship (non per niente il presidente dell’organizzazione, Dana White, è stato appena cooptato nel cda di Meta).
E così oggi, come scrive Le Monde, «l’Unione Europea sembra incapace di contrastare l’attacco su vasta scala condotto dal presidente eletto e dalle Big Tech contro la legislazione volta a regolamentare il suo spazio digitale». Il bersaglio numero uno sulla lista nera dei tecnoligarchi, infatti, è proprio l’Unione Europea, con il suo Digital Service Act (e le altre norme a tutela della concorrenza, della privacy e dei dati di ogni cittadino), come si capiva del resto anche dall’articolo di Peter Thiel pubblicato sabato dal Financial Times. «I nostri strumenti sono deboli» ammette oggi una fonte europea al Monde «il Dsa è stato pensato per intervenire contro delle imprese, non contro delle imprese che sono diventate gli agenti ideologici di Trump, non contro un miliardario pazzo». La battaglia, insomma, è appena cominciata. Auguriamoci che, al contrario della famosa festa, non sia anche già finita.