(huffingtonpost.it, 12 giugno 2020)
Il destino del cadavere di Adolf Hitler sembrava un mistero irrisolvibile. La conoscenza collettiva era divisa tra un’ipotesi realista (il dittatore si era fatto cremare nel grande cratere del bunker di Berlino) e una complottista (la fuga verso il Sud America). C’era però una terza verità, gelosamente custodita tra i grandi segreti della storia dal Kgb, il servizio segreto sovietico. Un segreto finalmente svelato. Quel corpo, martoriato e semi-carbonizzato, era da sempre stato nelle mani dell’Armata Rossa.Rinchiuso in casse di legno insieme alle salme di Eva Braun, dell’intera famiglia Goebbels e dell’ultimo capo di Stato Maggiore nazista. I russi, nei primi mesi del 1946, avevano sepolto tutto il materiale a Magdeburgo (nella parte di Germania occupata dai comunisti) e lì avevano finto di dimenticarselo. Nella primavera del 1970, però, esattamente cinquant’anni fa, l’equilibrio cambia. Perché l’Urss si ritrae dai territori tedeschi e deve liberare l’area della sepoltura. Tre spie si inoltrano allora nella Ddr su ordine del capo del Kgb, Jurij Andropov. Secondo i cartigli della Lubjanka le casse sono ancora immacolate nel sottosuolo e il mandato è semplice: quei corpi vanno recuperati, bruciati e dispersi per sempre senza che ne resti traccia.
È una storia vera, documentata, che Giovanni Mari, giornalista del Secolo XIX, racconta in un romanzo storico con Klausener Strasse (Minerva, 248 pagine, 16.90 euro), che prende il nome dalla strada della sepoltura. Il libro racconta i dettagli della missione: dalla preparazione (tra i verbali delle autopsie e la lettura delle mappe segrete) alla composizione del piano (con lo studio di sistemi di copertura e travestimenti), dalla scelta degli uomini (che devono giurare massimo riserbo e mostrare totale fedeltà all’Urss) alle sbavature operative (compreso un grossolano errore umano).
Luoghi, personaggi, oggetti, vestititi strappati e impronte dentarie si intrecciano in un rapido sorvolo sul passaggio più delicato del Secolo Breve. Ogni angoscia si concentra su una gelida distesa tedesca, in un precipizio nella Storia senza possibilità di ritorno che gli agenti segreti riescono a spezzare solo pensando al futuro, alle loro difficoltà domestiche. A riportare gli uomini al presente sono le loro pigrizie, i loro pranzi, i loro discorsi spiccioli, le esigenze quotidiane dettate dai ritmi paludati del sistema sovietico. Attorno, si addensano le tensioni della Guerra Fredda, i sussulti e le crisi dell’Occidente, l’insorgere di nuove mode. Soffia forte un vento di cambiamento, tra il divorzio inatteso dei Beatles e i primi passi del giovane Gorbaciov, tra la disfatta americana nel Vietnam e l’incespicare dell’Italia tra la conservazione democristiana e l’avvento di Berlinguer. Persino per le gesta calcistiche di Jürgen Sparwasser.
L’Unione sovietica vuole cancellare dal mondo Hitler per preservare un alone di mistero sulla Vittoria nella Seconda guerra mondiale, per evitare rigurgiti nostalgici, per rafforzare il mito dei russi e per scacciare le nubi che già si addensano sul sistema. Ma la buona riuscita della missione è ostacolata da intoppi e contrattempi che mettono a dura prova anche il temprato capo della cellula Kgb, Nikolaj Kovalenko. A mezzo secolo dai fatti, Mari tratta una storia vera e avvincente con le sembianze di un romanzo d’azione, ma si è basato sulla lettura dei documenti desecretati da Mosca. E affida la prefazione a Nicolai Lilin, che identifica nella morte terrena anche la morte del crimine totalitario.