di Giulio Silvano (ilfoglio.it, 22 giugno 2024)
«Alcuni mi chiamano il Papa dei Virus», scrive nel suo blog Eugene Kaspersky [Evgenij Valentinovič Kasperskij – N.d.C.], «per il mio impegno nella lotta contro i malaware». Negli anni Novanta, appassionato da sempre di Matematica, l’ingegner Kaspersky ha creato la sua azienda antivirus diventando miliardario. Quattrocento milioni di utenti, ventisettemila aziende clienti, uffici in trentuno Paesi, il suo prodotto è stato installato e usato da agenzie governative americane ed europee, tra cui la Pubblica amministrazione italiana.
Kaspersky è anche un fan delle auto sportive e per anni l’azienda di sicurezza informatica è stata sponsor della Ferrari in Formula 1. Ma oltre a essere un imprenditore di successo e un nerd dei numeri – racconta che per gioco al liceo risolveva puzzle su riviste tecniche –, Kaspersky è sempre stato legato all’intelligence sovietica e poi russa. Ha studiato all’Istituto di Criptologia dell’Urss, dove si sono formate molte spie, e avrebbe lavorato per la Difesa. Ha incontrato sua moglie, una programmatrice, in un villaggio vacanze per agenti dei servizi segreti – il Kgb meglio di Tinder. Poi, quando è crollato il Muro, si è messo in proprio. Kaspersky ancora oggi vive in Russia, a Mosca.
Dopo l’invasione dell’Ucraina su Twitter ha espresso posizioni generiche “per la pace”, viste come accomodanti nei confronti di Vladimir Putin. Alcuni parlano anche di uno stretto rapporto tra Kaspersky e Sergei Shoigu, fino a un mese fa ministro della Difesa russo, oggi segretario del Consiglio di sicurezza di Putin. Per paura che Kaspersky possa esser usato come cavallo di Troia putiniano nei computer delle agenzie americane, il governo degli Stati Uniti ieri ha vietato la vendita dell’antivirus russo in tutto il Paese. «La Russia ha mostrato in varie occasioni di avere la capacità e il desiderio di sfruttare aziende russe, come Kaspersky Lab, per raccogliere e usare informazioni sensibili americane» ha detto Gina Raimondo, a capo del dipartimento del Commercio.
La paura che i software russi vengano usati per i cyber-attacchi non è nuova. Nel 2017 un impiegato della National Security Agency si era portato a casa il computer con dei documenti top secret. Alcune spie russe erano riuscite a entrarci e a portarsi via i file, proprio usando l’antivirus venduto da Kaspersky Lab. E già nei leak di Edward Snowden era uscito fuori che Kaspersky poteva essere usato come backdoor per spiare i computer degli utenti. Un accesso privilegiato che avrebbe potuto favorire i vecchi amici del Kgb. Un senatore democratico già allora aveva chiesto d’intervenire perché la presenza massiccia del software nei computer statunitensi poteva creare una seria minaccia e il possibile «cyber-sabotaggio di infrastrutture americane strategiche».
Anche in Italia, nel marzo del 2022, il sottosegretario di Mario Draghi, Franco Gabrielli, aveva condiviso le stesse preoccupazioni visto l’uso di Kaspersky in vari Comuni e Ministeri italiani, preoccupazione condivisa dall’Agenzia italiana per la cybersicurezza nazionale. Quando era alla Casa Bianca, sventolando la dottrina “America first”, Donald Trump aveva vietato l’uso di Kaspersky negli enti pubblici statunitensi, una mossa fatta per togliere sospetti dal Russiagate, dall’accusa di esser stato aiutato a vincere le presidenziali grazie agli hacker di Putin. Forse l’unica azione antagonista di Trump verso il quasi amico del Cremlino.
Da sempre Eugene Kaspersky e i suoi portavoce smentiscono ogni tipo di legame con il governo russo, si difendono dicendo di aver creato un centro per la trasparenza per far vedere che il loro è un software innocuo. In una recente intervista a la Repubblica il miliardario veniva dipinto come un simpaticone fan dei gadget tecnologici e di Tetris, «vittima collaterale di uno scontro non suo», con la sua azienda «finita nell’ingranaggio delle sanzioni alla Russia di Vladimir Putin». Hanno detto che ricorreranno a qualsiasi via legale contro il governo degli Stati Uniti. Joe Biden ha deciso un approccio aggressivo, per evitare anche solo il rischio che si affidi la sicurezza dei computer americani a un’azienda russa. E visto che siamo in un anno elettorale, evitare anche che venga facilitato un nuovo Russiagate.