di Tess Owen (wired.it, 3 dicembre 2024)
Nella serata di domenica 1° dicembre, il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump ha pubblicato un post sul suo social, Truth, per chiedere retoricamente se la grazia concessa dall’attuale presidente Joe Biden al figlio Hunter sarebbe stata estesa anche gli «ostaggi del 6 gennaio, che sono ormai in prigione da anni». Nel corso della campagna elettorale per le presidenziali, Trump ha spesso citato i rivoltosi che hanno partecipato all’assalto al Congresso americano del 6 gennaio 2021, identificandoli come «J-6 Hostages» – da January 6 – e giurando di scarcerarli in caso di vittoria.
Ma le parole di Trump arrivate domenica hanno un significato particolare. Il prossimo presidente statunitense aveva appena annunciato l’intenzione di nominare alla guida dell’Fbi il suo fedelissimo Kash Patel, che in più occasioni ha espresso vicinanza ai rivoltosi (va specificato che il mandato dell’attuale direttore della principale agenzia di polizia federale americana, Christopher Wray, scade nel 2027. Non è chiaro se Trump intenda licenziarlo o se si aspetti le sue dimissioni).
Patel è un ex procuratore federale che ha ricoperto diversi ruoli nell’ambito della sicurezza nazionale durante il primo mandato di Trump. Ma è anche autore della serie di libri per bambini The Plot Against the King (Il complotto contro il re), che parla dei nemici del Repubblicano nel cosiddetto Deep State (come vengono definiti dal movimento Make America Great Again, o Maga, i funzionari che lavorerebbero segretamente per ostacolarlo), e vende merce pro-Trump con il marchio K$H.
«Penso che le persone del 6 gennaio, quelli in carcere, quelli coinvolti in procedimenti legali, ne saranno estasiati» dice Denver Riggleman, un ex deputato del Partito Repubblicano che è stato consulente del Comitato che indaga sui fatti del 6 gennaio 2021. Patel, che all’epoca dell’insurrezione era capo dello staff del segretario alla Difesa ad interim Christopher Miller, ha promosso la teoria del complotto infondata nota come “fedsurrection”, secondo cui la rivolta sarebbe stata istigata da agenti dell’Fbi sotto copertura con l’obiettivo di screditare il movimento Maga.
Patel ha poi contribuito alla produzione di Justice for All, una versione dell’inno nazionale americano cantata dal “coro carcerario J6” e inframezzata da passaggi in cui Trump recita il Pledge of Allegiance, il giuramento alla bandiera americana, che è diventata una presenza fissa nei comizi della campagna elettorale. Il possibile prossimo capo dell’Fbi ha inoltre proposto una «indagine a tutto campo» sul Comitato sul 6 gennaio e ha aiutato i rivoltosi attraverso la sua fondazione senza scopo di lucro, la Kash Foundation, che fornisce tra l’altro fondi per la difesa legale di «cittadini americani diffamati». Ha anche strizzato l’occhio a QAnon, difendendone uno degli slogan, elogiandone i sostenitori e addirittura partecipando a un podcast del movimento associato a una delle più grandi teorie del complotto degli ultimi anni.
Riggleman ritiene che Patel sia la scelta più pericolosa tra quelle fatte finora da Trump, per via della sua cieca fedeltà all’ex presidente e dell’interesse per le teorie del complotto mostrato in pubblico. «Penso che sia la sua scelta peggiore, persino peggiore di Matt Gaetz» dice Riggleman. «Kash Patel è semplicemente un soldato semplice per Trump». Per la vasta comunità di attivisti che difendono quanto successo il 6 gennaio 2021 – un gruppo che comprende personalità vicine al Maga, familiari di rivoltosi in carcere e individui che hanno scontato la loro pena – la nomina di Patel è un’indicazione che sta arrivando il momento della rivincita. E non si tratta solo di concedere la grazia ai rivoltosi, ma anche di dare la caccia a chi li ha fatti finire in carcere.
Almeno dagli anni Novanta e dall’assedio di Waco, il movimento antigovernativo americano vede nell’Fbi un nemico. La prima presidenza Trump e la pandemia di Covid-19 hanno reso mainstream l’astio contro il governo, un sentimento poi ulteriormente amplificato dalle indagini e dai processi contro i partecipanti all’assalto al Congresso e dalle indagini federali contro Trump. E la narrazione secondo cui sia il Repubblicano sia gli imputati per i fatti del 6 gennaio siano «prigionieri politici» di un «regime Biden» corrotto e dispotico ha preso sempre più piede. L’ecosistema mediatico legato al mondo Maga e la rete di attivisti del J6 credono che, se prenderà le redini dell’Fbi, Patel sradicherà la corruzione, smaschererà ogni sorta di complotto progettato per danneggiare Trump e dimostrerà che il J6 era un’operazione false flag.
«L’Fbi si merita Kash Patel» ha scritto su X Suzzanne Monk, una nota sostenitrice del J6. «Si sono guadagnati la batosta che gli darà». «La scelta di Kash Patel ha messo in allerta i traditori del nostro governo», ha commentato un account pro-Maga sempre sul social. «Quanti agenti dell’Fbi erano presenti il 6 gennaio?» ha aggiunto il deputato Repubblicano Mike Collins. «Stiamo per scoprirlo». Un altro membro Repubblicano della Camera dei rappresentanti, Clay Higgins, si è rivolto direttamente a Wray, l’attuale direttore dell’agenzia, con un post dal tono minaccioso: «Signor Wray, rimanga vicino a Washington. La sua presenza sarà richiesta» ha scritto su X.
Philip Anderson, una delle persone accusate di sommossa per il 6 gennaio, è più cauto e dice di voler aspettare per vedere se Patel e Trump faranno seguire alle parole i fatti: «Non vi prenderemo sul serio finché non metterete fine ai procedimenti giudiziari contro i J6» ha scritto su X. Al di là del suo post su Truth infatti, finora Trump non ha ancora chiarito se intende mantenere le sue promesse. Se da una parte ci sono imputati che hanno cercato di ritardare i loro procedimenti o addirittura di far cadere del tutto le accuse, alcuni avvocati non sono sicuri che Trump voglia graziare tutte le persone coinvolte oppure procedere in modo selettivo, per esempio concedendo la grazia o una commutazione della pena in base al tipo di reato.
Nel frattempo, Riggleman suggerisce che Patel si troverà di fronte a una strada in salita, se non addirittura impraticabile, per essere confermato a capo dell’Fbi. In diversi momenti della sua carriera, ex colleghi hanno messo in dubbio la sua competenza a guidare l’agenzia. «Se c’è qualcuno sano di mente, non credo che il Senato lo confermerà» dice Riggleman. «Ma, d’altra parte, ci sono senatori che hanno molta paura di Donald Trump e delle loro possibilità di rielezione».