Clamorosa decisione giudiziaria del quarterback che si inginocchia davanti all’inno per protestare contro l’odio razziale e le violenze della polizia
di Giovanni Marino (repubblica.it, 16 ottobre 2017)
Colin Kaepernick dichiara guerra alla Nfl. Ai trentadue padroni del grande football americano. E, indirettamente (ma non troppo), al presidente Trump che proprio non ce la fa a vedere i giocatori afroamericani non alzarsi, ma inginocchiarsi, davanti all’inno nazionale.Il 29enne quarterback già finalista di un Super Bowl scrive dunque un’altra clamorosa pagina, non solo sportiva, nella velenosa querelle nata dalla sua decisione di protestare pubblicamente contro l’odio razziale e le violenze della polizia prima di ogni match. Colin è il padre di quella che possiamo chiamare la protesta degli inginocchiati e che sta dilagando negli States. Da allora, sciolto il contratto con i Niners, Kaepernick non ha trovato uno straccio di squadra nonostante nei team fiocchino gli infortuni in quel ruolo e alcuni titolari, poi, siano nettamente inferiori alle qualità di Colin. Così il giocatore ha presentato una formale denuncia contro la National Football League, accusando i 32 titolari delle squadre di “collusione”. L’avvocato Mark Geragos, che assiste il giocatore, spiega: “Possiamo confermare che abbiamo presentato una denuncia sotto la Cba (Collective Bargaining Agreement) per conto di Colin Kaepernick. Questo è stato fatto solo dopo aver perseguito ogni possibile via con tutte le squadre Nfl e i loro dirigenti. Se uno dei motivi fondanti della Nfl (così come di tutte le leghe sportive professionali) è quello di usare il criterio della meritocrazia, non dovrebbero essere puniti gli atleti autori di proteste pacifiche e non dovrebbe essere negata loro l’occupazione solo sulla base di una provocazione politica da parte del ramo esecutivo del nostro governo”. “Un simile precedente – continua l’avvocato – minaccia tutti gli americani patriottici e richiama i nostri giorni più bui come nazione. Proteggere tutti gli atleti da tali comportamenti collusivi è ciò che ha costretto il signor Kaepernick a depositare la sua rimostranza. L’obiettivo di Colin Kaepernick è sempre stato quello di essere trattato in modo equo dalla lega dove ha giocato al livello più alto e quindi di poter tornare sul campo da gioco”. Kaepernick sostiene dunque che i proprietari stanno violando i termini dell’accordo di contrattazione collettiva, in particolare una clausola che vieta ai team di agire insieme per quanto riguarda l’assunzione di un giocatore. “Nessun club, i suoi dipendenti o gli agenti dovranno stipulare qualsiasi accordo, esplicito o implicito, con la Nfl o con qualsiasi altra società, i suoi dipendenti o agenti per limitare le possibilità di lavoro di un giocatore”, afferma la Cba. Muro contro muro, ormai. E a nulla sono valse le parole spese più volte dal commissioner della lega, Roger Goodell, secondo cui non vi è alcuna preclusione nei confronti del quarterback. Per molti media americani con questo gesto Kaepernick ha messo una pietra tombale su qualsiasi possibilità di tornare a giocare nella National Football League. Ma dietro il suo caso c’è molto di più di una partita di football… vedremo.