Joan Rivers, la geniale e irriverente comedian omaggiata in “Max Hacks”

di Paolo Armelli (wired.it, 31 maggio 2024)

Quando il 4 settembre 2014 venne annunciata la morte di Joan Rivers, in seguito alle complicazioni di una banale operazione alla gola, i suoi fan e non solo rimasero sgomenti. All’epoca la comica americana aveva 81 anni ma nessuno avrebbe immaginato una sua dipartita così improvvisa, specialmente dato la verve e la vitalità che stava dimostrando anche in quelli che inconsapevolmente erano i suoi ultimi anni.

Gli stessi fan, in anni più recenti, si sono altrettanto stupiti quando in qualche modo hanno visto rivivere la loro beniamina nella serie Max Hacks (da noi disponibile su Netflix, dove dal 1° giugno arriva anche la seconda stagione, comunque in ritardo rispetto agli Stati Uniti). Il personaggio della comica veterana al centro della serie, Deborah Vance, interpretata dalla straordinaria Jean Smart, è un omaggio neanche così velato a Joan Rivers. Non è ufficialmente una biografia di Rivers, ma in pochi possono non riconoscerla nella protagonista bionda, non più in giovane età, con qualche problema nell’accettare il passare del tempo, e famosa soprattutto per la comicità salace e per i business paralleli (come la vendita di gioielli nei canali di teleshopping).

Ecco, Joan Rivers era tutto questo e molto di più. Nata nel 1933 da una famiglia di Brooklyn di origini ebraiche (il suo vero nome era Joan Alexandra Molinsky), fece diversi lavori prima di esordire, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, nel mondo dello spettacolo, come comparsa in tv, per poi affermarsi sempre più nel mondo della stand up comedy, all’epoca dominato dai maschi in modo ancor più pervicace di quanto non sia oggi. Il suo stile netto, tagliante, spesso controverso, mai parco di battutacce anche a sfondo sessuale, fu il suo lasciapassare inedito, che la portò ad avere spettacoli in tutti gli Stati Uniti e anche, per un breve periodo, un suo late night show. Col passare degli anni divenne una star assoluta e sempre al centro del dibattito pubblico, un po’ per le sue uscite controverse e un po’ per alcuni tratti particolari della sua personalità (tra tutti, un’ossessione per la chirurgia estetica).

Per i millennial più giovani e soprattutto per gli appartenenti alla generazione Z, che pur vivono in un’epoca in cui la stand up comedy – soprattutto d’importazione a Stelle e Strisce – è una specie di pane quotidiano, Joan Rivers può apparire come una chimera lontanissima e a tratti incomprensibile. Come la Deborah Vance di Hacks, ebbe con lo showbiz più mainstream un rapporto di odio e amore, spesso insofferente a certe dinamiche di potere, di perbenismo e di maschilismo.

A un certo punto si riciclò come diva dei reality, coinvolgendo in diverse serie di E! la figlia Melissa o mettendosi a condurre Fashion Police, una specie di tribunale dello stile delle star di Hollywood, le cui osservazioni sull’aspetto fisico e l’apparenza di tantissimi nomi celebri oggi sarebbero per la maggior parte inaccettabili. A un certo punto, sempre come Deborah, anche Rivers lanciò la sua linea di gioielli sul canale Qvc, altra mossa considerata scandalosa dalle celebrity più affermate (in realtà, un gesto di business solo precursore dei tempi).

Ma Joan Rivers era così, semplicemente unapologetic, come si dice in Inglese: «Ho imparato a non avere alcun tipo di rimorso per qualsiasi battuta io faccia… Non mi abbasserò al politicamente corretto. Se vuoi fare satira non puoi propendere per una parte», disse a un certo punto. Molti oggi ripetono lo stesso ritornello su politicamente corretto e cultura woke, ma come una specie di megafono rotto per proteggere il proprio razzismo e i propri intenti discriminatori. Per Rivers la satira senza sconti era invece quasi più una convinzione filosofica, un’acidità con cui corrodere la superficialità del mondo e farne uscire le contraddizioni più fallaci.

Molti la criticavano per le sue battute sull’Olocausto, ma lei – il cui marito aveva perso tutta la propria famiglia nei campi di concentramento – diceva: «Questo è il mio modo per ricordare alle persone che l’Olocausto è esistito». Su YouTube si trova un gustosissimo video in cui fa una battuta tremenda su Helen Keller, celebre attivista sordocieca: «Sarebbe l’unica bambina che tollererei, perché stava immobile»; e rispose con furia a uno spettatore che l’accusava di non essere divertente né appropriata: «Mia madre era sorda, c*glione», fu la risposta di Rivers. «La comicità serve a ridere di qualsiasi cosa e imparare a fare i conti con qualsiasi cosa», continuava Joan Rivers in quel rant del tutto spontaneo: «Se non avessimo riso sull’11 settembre, dove diavolo saremmo?».

Era un’assolutista della risata, un talento viscerale, sempre acceso, senza quartiere. Negli ultimi anni concentrava le battute soprattutto su sé stessa e sul suo corpo ormai anziano (le tette che cadono a terra, la secchezza vaginale, la morte di tutti quelli che conosceva), ma in fondo per lei la comicità è sempre stata un modo per parlare di sé e di come affrontava una vita che le aveva dato parecchie soddisfazioni pur mettendola di fronte a parecchie contraddizioni. Per sopravvivere in un mondo che per lei è stato ostile in milioni di modi diversi, aveva messo su una corazza difficile da scalfire e quella corazza era costellata di un umorismo che non faceva sconti a nessuno, nemmeno a lei stessa.

La domanda annosa è: oggi come oggi, Joan Rivers sarebbe accettata? E avrebbe avuto lo stesso successo di decenni fa? Viene da dire di no, un po’ amaramente, soprattutto perché se da una parte c’è stata una revisione di linguaggi che, anche sul fronte della libertà di satira, erano aggressivi e discriminatori nei confronti soprattutto di individualità marginalizzate, dall’altra si è anche creata un’ipersuscettibilità, quella stessa contro cui Rivers ha sempre lottato, che forse ha messo dei legacci eccessivi alla comicità stessa.

In fondo, in Hacks, il personaggio di Deborah funziona proprio perché deve costantemente mettere in dubbio il proprio bagaglio comico, punzecchiata e ispirata dalla giovane Ava Daniels di Hannah Einbinder. Ma anche per chi preferisce uno stile comico più attento, imbattersi in un personaggio come Joan Rivers può essere una lezione fondamentale. Abbiamo conosciuto davvero cos’è stata la libertà, e poi abbiamo dovuto farci i conti.

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