di Silvia Bizio (repubblica.it, 13 ottobre 2017)
Leggende della musica come Joan Baez, la voce della protesta degli anni ’70, Robert Plant, Emmylou Harris, Brandi Carlile e Steve Earle – insieme ad altri musicisti – stanno donando il loro tempo e talento per Lampedusa, riconoscendo l’immane sforzo che la piccola isola siciliana sta compiendo da vent’anni per i profughi.Lampedusa: Concerts for Refugees è un tour di otto concerti da Seattle a Dallas, passando per lo storico teatro Wiltern di Los Angeles. Abbiamo parlato al telefono con Joan Baez (la Bob Dylan femminile) prima che salisse sul bus con il resto della compagnia per proseguire verso l’Arizona e il Texas per le altre tappe di questa importante iniziativa, organizzata dalla compagnia gesuita Jesuit Refugee Service in partnership con l’alto commissariato dell’Onu per i profughi (Unhcr). Il tour è finalizzato a raccogliere fondi e sensibilizzare l’opinione pubblica sulla crisi dei rifugiati nel mondo. “Ci sono 65.3 milioni di persone nel mondo costrette a lasciare la propria terra per violenza, persecuzioni e calamità naturali”, spiega Rob Robinson, direttore di Jrsusa e organizzatore dell’evento. “Più di 21 milioni sono rifugiati. Metà dei profughi hanno meno di 18 anni, e meno del 50 per cento dei giovani hanno accesso all’educazione. È per questo che proprio l’educazione è al centro del nostro impegno in questi concerti. Nel novembre del 2015 il Jrs ha lanciato la Global Education Initiative per l’educazione dei giovani profughi”. “E Lampedusa è un emblema di questo problema globale”, aggiunge la sempre combattiva Baez. “È un simbolo, e le immagini che si associano a quel simbolo sono molto forti, oggi come nel passato”.
Joan, come è iniziato il suo coinvolgimento con questa serie di concerti per Lampedusa?
“Emmylou Harris era stata la prima a entrare in contatto col gruppo di gesuiti che avevano l’appoggio della Uhncr, con cui avevo lavorato fin dagli anni ’70. Il Jesuit Refugee Service è un’organizzazione umanitaria che da 36 anni opera in oltre 45 Paesi nel mondo. Sono molto seri e impegnati, e mi fido di loro ciecamente. Emmylou è una donna di forti convinzioni, è una specie di calamita cui non puoi sottrarti quando si mette in testa una cosa e decide di coinvolgerti. Mi ha fatto capire la forza del progetto. Insieme sul palcoscenico cerchiamo di far capire l’importanza di questa causa. Soprattutto quella di dare educazione ai profughi”.
Quindi crede che la musica possa scuotere le coscienze?
“Di sicuro la musica riesce a smuovere lo spirito, ovvero riesce a creare forme di empatia talora inconsapevoli. Ed è già qualcosa. Dà alla gente una sensazione di speranza, anche quando sembra che ce ne sia poca. La musica vera anela sempre a un mondo migliore. Io sono cresciuta con quel tipo di musica. Si può fare politica con la musica. Io ci credo”.
Il problema dei profughi le è sempre stato a cuore.
“Oggi più che mai. E con le cose che stanno succedendo a Washington – e non è Trump, lui è solo lo strillone –, con questo sentore di regressione conservativa e isolazionista, credo che mai come adesso dobbiamo cantare ad alta voce. La destra estrema è in crescita qui negli Usa, come in altri Paesi dell’Occidente. Trump non ha fatto altro che sdoganare la destra americana. Allora dobbiamo darci da fare – noi persone di coscienza – più che mai. E dobbiamo incoraggiare le persone al potere a comportarsi in maniera decente, civile, avere compassione ed empatia, tutte quelle cose che stanno sparendo dai nostri vocabolari. Una mia amica ha una t-shirt con la scritta: Make America Mexico Again, che trovo strepitosa. Non dovremmo dare tanta importanza alle celebrazioni individuali o di gruppo, che sono sempre divisive”.
Ha visitato campi profughi? È mai stata a Lampedusa?
“No, a Lampedusa non sono mai stata, ma adoro l’Italia e la Sicilia. Sono anni che non visito campi profughi dopo le mie esperienze in Cambogia e Vietnam. Lo vorrei fare appeno finisco questa serie di concerti e altri impegni pressanti. E vorrei andare a Lampedusa, certo. Questi concerti sono in onore di quell’isola, che è diventata una stazione di passaggio di tante persone in fuga da situazioni atroci. Lampedusa è il simbolo globale dell’accoglienza, del nuovo umanesimo”.
Lei è anche impegnata a dipingere, sua nuova passione.
“Ho iniziato a dipingere seriamente circa sei anni fa, e faccio soprattutto ritratti. Il volto umano e ciò che racconta rimane il mio soggetto favorito. Esprimi tutta una vita sul volto e un bravo artista riesce a coglierla e raccontarla. Sto pensando a una mostra e forse a un libro, un giorno”.
Per il problema dei profughi, quale sarebbe la canzone di battaglia più appropriata?
“Ce n’è qualcuna nuova, come Deportees o The Immigrant Song, che cantiamo in questa tournée. Ma se mi chiede se ci sia oggi una canzone come Blowing in the Wind, no, non c’è”.