di Matteo Persivale («Corriere della Sera», 31 marzo 2018)
La prima idea era quella buona. Nel 2016, Sean Penn aveva registrato — con la voce del magnifico attore che è — un audiolibro: Bob Honey who just do stuff, un romanzo buffo e complicato dallo stile che una volta si sarebbe definito “sperimentale”. Non l’ho scritto io, aveva spiegato l’attore, ma un tizio che ho conosciuto in Florida — un certo “Pappy Pariah”, ovviamente uno pseudonimo, ma tant’è.E non era successo nulla di male. Adesso però Penn ha fatto coming out letterario: il libro è suo, così l’ha firmato con il suo nome e l’ha dato da pubblicare a un editore prestigioso, Simon & Schuster, che pubblica tanti premi Nobel, e poi Anne Frank, Philip Roth e Don DeLillo e Stephen King e tantissimi altri grandi. Cos’è successo? Una quantità di stroncature, sulla stampa americana e britannica, della quale non si ricordano precedenti almeno negli ultimi anni, un fiume inarrestabile di sarcasmo, ironia, insulti. Il generalmente pacato New York Times si è unito al coro di stroncature, almeno in maniera educata. «Per certi versi repellente, per altri versi semplicemente stupido», ha scritto The Guardian. E così via, insultando. Perché tanto odio? Il libro è davvero così brutto? Il Corriere della Sera l’ha letto e la conclusione, triste, è che se fosse uscito sotto pseudonimo presso magari una casa editrice meno prestigiosa non sarebbe successo nulla. Le persone famose — gli attori specialmente — che scrivono libri vengono visti da molti, o quasi tutti, i critici, come celebrità che hanno l’hobby della scrittura, e quello che si fa per hobby è per definizione poco serio, e dunque si tratta di libri poco seri. Penn poi ha una serie di problemi di immagine: odiatissimo dalla destra americana per le posizioni progressiste, i viaggi umanitari (un po’ ingenui) in Iraq, l’amicizia con Hugo Chávez. I progressisti non gli perdonano le battutacce da uomo sì di sinistra ma assolutamente lontano dal politically correct («Chi ha dato il permesso di soggiorno a questo figlio di buona donna?», disse alla Notte degli Oscar riferendosi al regista messicano, vincitore per Birdman, Alejandro González Iñárritu, gelando la platea) e le perplessità di recente espresse sul movimento antimolestie #metoo proprio nel suo sfortunato romanzo (che il protagonista inveisca contro Donald Trump, «uno dei Cavalieri dell’Apocalisse», auspicandone l’assassinio, non lo ha certo aiutato). E così poco importa che Penn sia andato ad Haiti a aiutare dopo il terremoto, a New Orleans devastata dall’uragano Katrina, che sia stato un grande sostenitore dei matrimoni gay quando ancora erano illegali e l’America sembrava molto divisa sul tema: gli basta fare una dichiarazione filoargentina sul tema delle Isole Falkland per scatenare i giornali britannici, intervistare l’allora latitante boss “El Chapo” Guzmán per finire indagato dal Ministero della Giustizia messicano. Insomma, è abituato ad avere tutti contro. Con il suo romanzo è andato volontariamente al macello (letterario). Suoi colleghi — nell’industria hollywoodiana — hanno scritto raccolte di racconti non memorabili (Tom Hanks: Tipi non comuni, Bompiani) senza essere spernacchiati a mezzo stampa. Però va anche detto che un altro attore, David Duchovny, che ha il talento dello scrittore vero, l’occhio per il dettaglio e il senso dello humour, forse è stato penalizzato proprio perché la letteratura è per lui un secondo lavoro. Il romanzo di Penn non è bruttissimo: è, semplicemente, un po’ inutile, rimastica una moda letteraria postmoderna abbondantemente fuori tempo massimo, e non basta un maestro della letteratura di questi anni, Salman Rushdie, a garantire per Penn dicendo che Bob Honey who just do stuff piacerebbe a Thomas Pynchon. Pynchon dimostra esattamente che per scrivere libri senza trama che si reggono sul linguaggio bisogna essere dei geni. Della letteratura. Penn è un genio, ma della recitazione cinematografica. Con una filmografia destinata a restare al di là delle polemiche sulle sue scelte politiche, sul suo talento letterario che non pare gigantesco. Ma che è difficile meriti davvero gli insulti ricevuti per questo dimenticabile ma non spaventosamente brutto libro.