di Giulio Cavalli (linkiesta.it, 25 giugno 2018)
Benvenuti nell’estate 2018, quando Claudio Marchisio e Francesco Totti diventano l’argine nazionalpopolare alla merda che ogni giorno viene sparsa dai vomitatori d’odio (esclusi i fine-settimana, avete notato? perché il week-end è sacro quasi come l’aperitivo). E intanto rimbomba l’assenza degli intellettuali prêt-à-porter, quelli che tutti i giorni sui loro account social o nelle ospitate televisive ci propinano le loro fondamentali idee.Sul cibo, sull’abbigliamento, sul caldo d’estate e sul freddo d’inverno, sulle molestie subite dagli altri, sulla simpatia di Renzi e dei genitori di Renzi e dei cugini di Renzi, sul bere molta acqua, sui programmi in prima serata, su quanto sia rivoluzionario il Papa, su quanto fosse forte Maradona, sui litigi di tronisti e grandifratelli, sulle loro ex mogli, sull’educazione dei figli, su Corona e don Mazzi, sulle troppe tasse, sulle parolacce che si possono dire ma le bestemmie invece no e non hanno nulla da dire, niente di niente, nemmeno una foto su Instagram, su questo tempo in cui si augura la morte ai profughi, si spera che affondino i barconi, ci si chiede perché Saviano non sia ancora morto, si discetta sugli stupri che devono capitare alla Boldrini e ci si ingegna nell’analisi lessicale delle cazzate di qualche ministro fingendo di non sapere che certa retorica serve solo come miccia per accendere la feccia. Abbiamo i personaggi pubblici meno riservati degli ultimi cinquant’anni, ne conosciamo i gusti sessuali, le intolleranze alimentari e i soprammobili in salotto ma non riescono a dire una parola, prendere una posizione sulle piccole disumanità in scia di un partito che pur essendo azionista (di minoranza) del governo instilla una guerra continua, giorno dopo giorno, in campagna elettorale permanente intenta ad agitare le folle. Sia inteso: non è obbligatorio essere contro questo governo per dichiararsi estranei alla ferocia che si annusa nell’aria, ma è obbligatorio ribellarsi (sì, è obbligatorio, e come dice giustamente Roberto Saviano «chi non prende parte ora sarà colpevole per sempre») al razzismo becero di chi considera l’etnia e la provenienza geografica un valido motivo per morire e essere lasciati morire. Personaggi televisivi che da anni ci impartiscono lezioni di benpensantesimo da tutte le reti televisive preferiscono parlare della penuria di ombrelloni piuttosto che lasciarsi scappare un giudizio sul presente, sacerdotesse della domenica pomeriggio (quelle maestre dei selfie a culo di gallina con gli ospiti politici e di giudizi censori sullo scibile umano) galleggiano tranquille nella melma di questi giorni, opinionisti apodittici (di politica, calcio, tennis, moda, reality anche tutto contemporaneamente) scrivono messaggi privati per esprimere una solidarietà che non renderebbero pubblica nemmeno sotto tortura, saggisti tuttologi che vendono sugli scaffali futuri apocalittici ma trovano potabile il presente. In Italia assistiamo con sgomento ormai alla proliferazione di due categorie opposte di intellettuali: quelli che hanno sempre preso posizione e che difendono con coerenza i propri valori (anche scontrandosi con il pensiero della maggioranza, consapevole delle fetide idee che alla maggioranza è capitato di appoggiare nel corso della Storia) e quelli che non toccano mai le corde sensibili del Paese ma sono sempre in prima fila per prendersi gli applausi. I primi vengono rinchiusi nelle loro gabbie e rimangono a coltivare il proprio giardino di seguaci, mentre i secondi temono anche un solo tweet di dissenso e discettano solo di ciò che non rischia di dividere il proprio pubblico. Perché, diciamolo, prendere posizione oggi significa essere pronti a ingoiare una quintalata di merda come risposta: centinaia di insulti che non leggono nemmeno le parole scritte ma che eiaculano a spargere un po’ di odio personale. Come scrive un ignoto giornalista in un pezzo de la Provincia Pavese che andrebbe ripubblicato sui quotidiani nazionali: «è chiaro che, nei giorni dell’omofobia e del razzismo, una persona con toni pacati e rispetto per gli altri se ne sta in disparte. Come biasimarla? I pochi che si arrischiano lo fanno a loro rischio e pericolo. I violenti prosperano, rimpallandosi la bile, dandosi forza l’uno con l’altro con fiotti di mi piace ai peggiori strafalcioni linguistici e concettuali e alle presunte notizie che, nel malefico passaparola, perdono via via un livello anche minimo di attendibilità. Vero o falso, chi se ne frega?». E quindi? E quindi gli intellettuali de noantri hanno bisogno di like e clic per alimentare il proprio ego e preferiscono fare finta di niente. Quelli che si scuoiano in piazza contro le pellicce sopportano tranquilli senatori della maggioranza che ucciderebbero i negri o comunque li vedrebbero bene marcire a casa loro, quelli che si strappano i capelli per l’illegalità di Fabrizio Corona non hanno nulla da dire sui «rom italiani che purtroppo ci dobbiamo tenere» e quelli che chiedono la condanna a morte per gli stupratori sopportano sereni che la morte di Giulio Regeni sia un affare di famiglia tra lui e i suoi poveri genitori: l’importante è non disturbare il potere, non inimicarsi il reggente di turno anche se dovesse essere un patetico buffone, ciò che conta è non irritare i propri followers. E succede così che Marchisio e Totti spicchino come liberi pensatori in mezzo a tutti i nani. Ci sono loro, Saviano (che però è della prima categoria di intellettuali, quelli catalogati) e quelli che non hanno mai smesso di dire e di lottare. I nostri influencer continuano a cucinare, scoreggiare, abbronzarsi e pregare per il prossimo personaggio pop che verrà a mancare. Ogni tanto, se serve, una citazione di Pasolini la troveranno sempre da spiattellare.