
di Francesco Crippa (huffingtonpost.it, 7 marzo 2025)
«Non sarei venuto se mi avessero detto la verità». È il 3 novembre 2024 e il Fenerbahçe allenato da José Mourinho ha appena vinto per 3 a 2 in casa del Trabzonspor. Un successo sofferto, arrivato solo al minuto 102 e dopo 2 rigori concessi ai padroni di casa che per il tecnico portoghese erano oltremodo dubbi.
Mourinho non ci sta e in conferenza stampa si scatena, attaccando non solo la classe arbitrale, rea di non essere all’altezza, ma tutto il sistema calcio della Turchia, cui imputa la volontà di penalizzare il Fenerbahçe per far trionfare il Galatasaray, i principali rivali cittadini. Sarebbe questa la “verità” alla quale fa riferimento lo “Special One”, che ricalca in toto la narrazione che il suo club sbandiera già da qualche anno e che va oltre le semplici questioni calcistiche. Secondo alcuni, infatti, dietro le macchinazioni della federazione turca ci sarebbe nientemeno che il presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdoğan.
«Penso di essere il signor Porto e il signor Real Madrid, ma anche il signor Inter e il signor Chelsea e Manchester United. Sono il club in cui mi trovo. Indosso e dormo con il pigiama della mia società. Sono un uomo di club, ma non un uomo di molti club», diceva Mourinho di sé nel novembre del 2019, quando sedeva sulla panchina del Tottenham Hotspur. Un ruolo da capopopolo che ora, nel caos del campionato turco, non può che venire amplificato.
Mourinho è sempre stato un maestro a sviare l’attenzione mediatica dai problemi della squadra, facendola ricadere su di sé con continue dichiarazioni provocatorie, oppure puntando il dito verso il nemico di turno. Le polemiche arbitrali stavolta, però, non si limitano alla naturale protesta né al tentativo di creare uno scudo attorno alla squadra (che nonostante un ricco mercato siede al secondo posto della classifica, a quattro lunghezze dal Galatasaray). È una rabbia vera, che Mourinho non si fa problemi a mostrare platealmente.
Nella conferenza-show post vittoria col Trabznospor ha detto che la Süper Lig «puzza» mentre invece il Fenerbahçe è «pulito» e che «con mezza verità combatte avversari e sistema». Accuse ripetute a inizio gennaio, quando se l’è presa con un giornalista che gli domandava se fosse possibile riacciuffare il Galatasaray. «Perché hai paura di dire la verità?», ha tuonato lo Special One. «Pensi che la differenza di punti sia solo per via del calcio giocato?». Insomma, questo il suo pensiero, impossibile riprendere una squadra favorita dal sistema.
Il mix tra rabbia e strategia mourinhane non stupirebbero più di tanto se non fossero completamente rilanciate dal club, che anzi le manifesta da ben prima dell’arrivo del tecnico portoghese. Da anni, infatti, la società accusa vertici della federazione e classe politica di voler impedire al Fenerbahçe di tornare a vincere un campionato che manca dal 2014. Un episodio, su tutti, dimostra come la situazione tra club e lega sia tesa: nell’aprile del 2024 il Fenerbahçe ha mandato in campo per la finale di Supercoppa turca la Primavera, facendola ritirare dopo appena 49 secondi di gioco. Un gesto simbolico attuato per protestare contro la mancata protezione che la squadra ha ricevuto da parte della federazione in seguito ai fatti di un paio di settimane prima, quando i giocatori del Fenerbahçe erano stati coinvolti in una rissa con i tifosi del Trabznospor.
Ma le proteste vanno al di là dello sport e raggiungono la politica. Da un lato, la curva del Fenerbache (come tante altre in Turchia) è su posizioni avverse a Erdoğan. Dall’altro, è stato lo stesso presidente dei gialloblu, Ali Koç, ad accusare il presidente della Repubblica di favorire il Galatasaray. I dissapori tra Koç e Erdoğan affondano le radici in tempi lontani. Il patron del “Fener” è infatti il rampollo di una delle più ricche famiglie della Turchia, proprietaria della Koç Holding, la più grande finanziaria del Paese.
Nel settembre del 2013, la Koç Holding ha avuto un momentaneo crollo in Borsa dovuto all’accusa, depositata in tribunale da un avvocato, di aver partecipato al «golpe postmoderno» del 28 febbraio 1997, quando i militari costrinsero il governo islamico al potere a dimettersi. In quell’occasione, Erdoğan non si è risparmiato con le critiche: «Ambienti finanziari e alcuni media non hanno forse contribuito al golpe del 28 febbraio? Mi chiedo perché non siano stati finora incriminati». Poche settimane prima, durante le proteste antigovernative di Gezi Park, un hotel gestito dalla famiglia Koç aveva dato ospitalità ai manifestanti.
Sempre in quell’anno il padre di Ali, Rahmi Koç, aveva scritto in un editoriale su Turkish Policy Quarterly che la Turchia avrebbe potuto raggiungere i propri obiettivi economici e sociali «solo se fosse emersa come una democrazia stabile e matura», cosa impossibile allora vista la «eccessiva dipendenza da flussi di capitali esteri, i problemi su istruzione e formazione e i livelli molto bassi di donne nella forza-lavoro».
Andando ancora più indietro, nel 2001, sempre Rahmi Koç aveva chiesto pubblicamente in che modo Erdoğan avesse accumulato le proprie ricchezze. La famiglia Koç, dunque, ha alle spalle una lunga storia se non proprio di opposizione a Erdoğan, almeno di forte critica di indirizzo liberale. E ora ritiene che, forse proprio per “vendetta”, il presidente della Repubblica stia cercando d’intralciare il cammino del Fenerbahçe verso la vittoria nel campionato.
Voci sull’ingerenza di Erdoğan nel calcio, comunque, esistono da prima; in particolare da quando l’umile Istanbul Başakşehir ha avuto una rapidissima ascesa dopo essere stato acquistato, nel 2014, da Göksel Gümüşdağ, membro dell’Apk, il partito del presidente, e sposato con una sua parente. In ogni caso, in questo personale scontro con Erdoğan, la famiglia Koç e il Fenerbahçe possono ora avvalersi di un nuovo, valoroso soldato: Mourinho, che, pur limitandosi a parlare di campo e arbitri, getta benzina sul fuoco con le sue dichiarazioni, alimentando un clima teso e alzando i toni della polemica.