di Guia Soncini (linkiesta.it, 2 aprile 2021)
Tutto è commedia, tranne la commedia. Ci ho pensato tutto il giorno, ieri, col compiacimento di chi ha scoperto la legge fondativa dell’Italia del 2021, e con lo scorno di chi ci ha messo tre mesi ad accorgersene: tutto è commedia, tranne la commedia. È la risposta alla domanda che su queste pagine credo d’aver fatto in un centinaio o giù di lì d’articoli: questa cosa che la realtà rubi il lavoro agli sceneggiatori, questo sorpasso continuo della cronaca sulla fantasia, questa quotidianità che ci fa sospirare «dov’è Monicelli, dov’è Risi», questa roba qui è un bene o un male? È commedia il comandante che vende segreti ai russi per meno di quello che un’influencer prende per promuovere una barretta dietetica. È commedia la moglie del comandante, psicoterapeuta disegnata per dimostrarci che non solo in Beautiful, non solo in Billions, non solo in The Undoing: anche nella realtà di Pomezia ci sono psicoterapeute che non capiscono nientissimo di quel che succede in casa loro, figuriamoci nelle vite dei pazienti.
È commedia la giornalista che, quando il figlio del venditore di segreti militari le nega l’intervista, fa spegnere la telecamera all’operatore e poi riprende di nascosto col cellulare un derelitto che dice cose a caso in romanesco, ho due minuti d’uno sconosciuto che sproloquia dei cani e delle sorelle, valeva la pena violare qualunque etica professionale, Woodward e Bernstein scansatevi. Woodward e Bernstein a Pomezia. È commedia l’imprenditore bresciano (non di solo Lazio vive il cinema) che s’organizza un suo privato decreto sostegni organizzando un finto sequestro in Siria, ma ci sono alcuni problemi che paiono sceneggiati da Sonego: tanto per cominciare uno dei finti rapitori non si presenta a Orio al Serio, l’aeroporto bergamasco dal quale dovrebbe partire per la Siria. È grandissima commedia (datemela da sceneggiare, ve la faccio per un prezzo modico) l’organizzazione del video di richiesta di riscatto, con la tuta arancione (avrà scambiato i sequestrati siriani per i galeotti dei film americani). È commedia il Conte (il segnaposto, ve lo ricordate?) che annuncia gongolante la liberazione grazie a «un’articolata attività condotta, in territorio estero, in maniera coordinata e sinergica dall’intelligence italiana». Coordinamento estero di Cinecittà.
È talmente tutto commedia che non si sa più cosa sia commedia e cosa no. Ieri Giuseppe Civati ha annunciato che si candida a governatore della Lombardia, e io fissavo il tweet con aria ebete e mi chiedevo: ma è normale ch’io non sappia dire se il tweet d’un politico è un pesce d’aprile o no? È tutto commedia, tranne la commedia: ieri Alessandro Di Battista ha chiesto nuove regole per i programmi televisivi. Vuole un sottopancia, per gli ospiti, che ne dichiari i precedenti penali. Dice che l’aveva già proposto alla Rai anni fa (invero inspiegabile che non l’abbiano ascoltato). Poiché ho come tutti il mio prosciutto da vendere e ogni tanto passo da qualche studio televisivo, vorrei Di Battista mi rassicurasse: le assoluzioni valgono? O, se vado a parlare del mio libro in un varietà per massaie, sotto mi scrivono «Guia Soncini, accusata che l’ha fatta franca»? (Il che peraltro risolverebbe il problema di cosa farsi mettere nel sottopancia, io vorrei «una che scrive» ma non mi danno mai retta).
È tutto commedia, tranne la commedia. LOL, per esempio, nuovo programma comico lanciato proprio ieri su Prime. Dieci comici non devono ridere, ognuno deve rimaner serio per sei ore, di fronte alle battute e alle gag degli altri nove. Se sbotti ti ammoniscono, e la seconda volta ti eliminano. Il tutto per centomila euro che verranno dati in beneficenza, annuncia un cartello iniziale; cartello che, poiché Jeff Bezos non poteva permettersi un grafico che avesse concluso con profitto le elementari, scrive «beneficienza». È tutto commedia tranne la commedia, e quindi ti chiedi come se la caveranno ’sti dieci disgraziati col difetto di non stare nelle pagine di cronaca. Intanto, le donne se la cavano molto meglio degli uomini, il che è un sollievo: avevo perso la speranza, dopo anni di comiche anglofone che sono perlopiù patetiche quote rosa (con l’eccezione di Sarah Silverman; e ovviamente Joan Rivers era un genio, ma è morta quasi quanto Amedeo Nazzari). Quindi non è un problema di gameti ma di talento: ci avrei giurato. Però non si ride quasi mai, che non è un difetto da poco. Nel senso: se la convenzione narrativa è che i comici debbano trattenere le risate, bisogna che gli altri comici facciano ridere molto. Se non c’è niente da ridere, che sforzo è?
Per convincerci che ci sia moltissimo da ridere, LOL usa l’equivalente delle risate finte: stacchi sulla finta regia dove gli arbitri – che grandissimi attori – davvero si scompisciano. L’effetto è quello di Jimmy Fallon, il peggior conduttore della tv generalista americana. Qualunque ospite abbia, JF si sganascia. I suoi ospiti è come avessero sempre un fumetto che dice «ma io mica ho detto niente di così esilarante»; il pubblico a casa si chiede cosa ci sia da ridere. Davanti a LOL, uguale. E infatti, ogni volta che si ferma tutto perché qualcuno ha riso e va ammonito o cacciato, quel qualcuno ha sempre riso di sé. Della propria battuta, gag, trovatina. Che è una cosa che in genere fanno i compulsivi della battuta, quelli che non la fanno per mestiere ma per incontinenza: se la fanno e se la ridono. Uno dei più malati di questa malattia è proprio Civati, e il suo tweet sarebbe stato molto più chiaro se fosse stato un video. Se dopo averla detta se la fosse risa, avrei capito subito che era un pesce d’aprile. E invece sono rimasta lì, a chiedermi come mai tutto – la cronaca, la politica, l’esercito – tutto, in questo disgraziato Paese, sia commedia. Tutto, tranne la commedia.