di Manuel Peruzzo (lastampa.it, 18 luglio 2018)
Lo spot Chicco è fascista. Chiara Ferragni non ha superato la prova costume. La Monna Lisa è un furto francese e il museo in cui è esposta ha complessi d’inferiorità culturale verso l’Italia. Juncker è un ubriacone, la prova? non si regge in piedi e ha bisogno della carrozzella. In Italia lo stupro è accettato se sei ubriaca. Potremmo continuare oltre, ma forse basta così.Queste non sono fake news ma potrebbero diventarlo: sono i commenti degli italiani (o potremmo dire le nostre reazioni istintive) a notizie, foto o video che per qualche ragione hanno fatto scattare l’indignazione, l’invidia, il patriottismo, il delirio collettivo. I riflessi pronti degli italiani si misurano sul modo in cui siamo in grado di essere imbarazzanti.
L’ultima è che non abbiamo capito una normale sentenza della Cassazione che ha applicato la legge che prevede una normale aggravante per un caso specifico: se non ti obbligo a bere non c’è l’aggravante per me stupratore di averti obbligato a bere, che non significa che lo stupro non è più un reato se la vittima è ubriaca (al massimo significa che chi commenta era così ubriaco da non aver letto bene la notizia). Se è l’attore Alessandro Gassman a scrivere «Quindi se una donna si ubriaca e subisce uno stupro non è poi così grave… #mortaccivostri», è grave ma non serio. Più serio se è Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Corte Costituzionale, a scrivere: «Riesce incomprensibile l’affermazione, riferita alla Corte di Cassazione, secondo la quale il fatto che la vittima di uno stupro collettivo fossi (sic) ubriaca non darebbe luogo alla aggravante dello stupro di gruppo. Questa sentenza ci riporta indietro anni luce». L’unità del tempo degli anni non è la luce, ma soprattutto stupisce che persino lui legga i primi titoli, costruiti con la tecnica del clickbaiting, e non la notizia nella sua interezza. E così fanno molti altri che passano più tempo a commentare che a leggere: l’indignazione è un diritto fondamentale dell’uomo.
Se la Chicco in uno spot spiritoso chiede agli italiani di fare più sesso (e più figli) diventa un attacco ai single, alle nullipare, ai gay, a quelli che non possono averne e vorrebbero tanto ma sono troppo poveri (sappiamo che l’indigenza è un anticoncezionale potente: nel terzo mondo il tasso di natalità è notoriamente basso). C’è quello che commenta «Vi siete dimenticati della tassa sul celibato, i Figli della lupa e i Balilla, a quanto pare», quella che «Per la serie: tromba con chiunque e ovunque perché l’Italia ha bisogno di figli. Li mantiene Chicco giusto?», e quella che dopo una lunga arringa in cui scrive che servono asili nido, agevolazioni fiscali e bonus famiglia scrive che solo così finalmente faremo più figli. Ma da quando un’azienda che produce vestiti per bambini è considerata il Ministero per la famiglia?
Il video nel quale il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker barcolla e deve essere accompagnato in sedia a rotelle “fa il giro della Rete”. Politico però scrive che Juncker ha un problema di sciatica dovuto forse a un vecchio incidente automobilistico, e a fine articolo riporta il commento divertito del Presidente al Sun: «Preferirei essere ubriaco», riferendosi agli articoli della stampa scandalistica inglese che suggerirebbero i suoi problemi con l’alcol. Tanto basta a Giorgia Meloni per pubblicare un tweet in cui sostiene che il Presidente è un ubriacone inaffidabile; spalleggiata da numerosi commentatori che hanno ormai le prove. Margaritis Schinas, portavoce della Commissione Europea, ha dichiarato che è del tutto senza tatto scrivere articoli di questo genere sulla condizione fisica in cui si trova Juncker. Figurarsi gli attacchi politici (ma il politicamente corretto non è mai stato importato in Italia, almeno in politica).
A Chiara Ferragni è andata persino peggio. Durante i festeggiamenti d’addio al nubilato pubblica una foto in abito da sera, qualcuno le scrive «Sembra più incinta ora di quando lo era davvero», qualcun altro «Accidenti. Non stai così bene come pensi di stare». Sotto un’altra foto le scrivono «Un po’ moscio il sedere: allenalo di più». Ferragni risponde buttandola sul bodyshaming: come vi permettete di valutare il mio corpo, non mi conoscete (in realtà fa parte del gioco in cui il corpo è esposto: non la conoscono neppure quando le dicono che è bellissima). Iniziano tutti a litigare sull’inopportunità di lasciare messaggi sgradevoli. Ferragni ha basato la carriera sulla instagrammabilità della propria vita e deve aspettarsi qualche critica, ma anche questo caso ci dice che diamo il peggio di noi in modo irriflessivo e automatico. Forse per invidia, forse per miopia. Direste mai a uno sconosciuto che non ha superato la prova costume e deve nascondersi? Abbiamo la percezione della nostra vita online come se fosse slegata dalla vita offline: non è così. L’una ricade sull’altra, come da sempre ci dice la Sociologia dei media.
No, i francesi non hanno rubato la Gioconda: è stata venduta da Leonardo da Vinci a Francesco I, ed è in Francia dal 1517 (cioè, pur essendo un’opera italiana ha vissuto più in Francia che in Italia). No, la Chicco non vuole obbligarvi a figliare e cantare canzoni Balilla, solo vendervi più pannolini. No, Juncker forse sarà anche un ubriacone ma non è quello il motivo per cui barcolla e ha bisogno di una sedia a rotelle. No, stuprare una donna ubriaca non è affatto “meno grave” o legale, ma non si può dare un’aggravante se non se ne presenta l’opportunità. Internet e i social media facilitano la dis-intermediazione e l’orizzontalità della comunicazione in cui tutti possono scrivere al politico come all’attore tutto ciò che vogliono. Ognuno esercita la propria libertà di parola senza considerare le conseguenze, cioè alla meglio risultare parte di una «legione di imbecilli», per citare Umberto Eco, alla peggio meritarsi una denuncia. I messaggi che lasciamo ci dimostrano che siamo rancorosi, invidiosi, socialmente e culturalmente impreparati, e che spesso non capiamo quello che leggiamo ma l’urgenza espressiva è tale che commentiamo come tanti Pavlov. Se continuiamo così, oltre al diritto di parola e di pensiero considereremo inalienabile anche il diritto a renderci imbarazzanti.