di Teresa Marchesi (huffingtonpost.it, 5 settembre 2021)
Gli antenati dei social, nella Parigi di due secoli fa, erano i piccioni viaggiatori, incaricati di diffondere le fake news a velocità d’ali per costruire o distruggere “casi” e reputazioni: è solo un dettaglio tra i mille che fanno di Illusions perdues di Xavier Giannoli, in concorso a Venezia, un affresco al vetriolo dei meccanismi che governano l’informazione tanto di ieri quanto di oggi. Il focus della sceneggiatura, basata sull’omonimo romanzo-cardine della monumentale La Comédie humaine di Honoré de Balzac, è tutto su questo tema. È un grande e anomalo film letterario, quello di Giannoli, che va ben oltre lo splendore dei costumi e degli arredi.
Perché usa lo sguardo tagliente dello scrittore sulla sua Parigi della Restaurazione, dopo la caduta di Bonaparte (il romanzo uscì in tre parti tra il 1837 e il 1843), per denunciare la manipolazione, la corruzione, la concentrazione delle testate, il trasformismo di certa stampa del nostro presente. L’apprendistato di Lucien de Rubempré – poverissimo poetucolo sbarcato nella Capitale dalla nativa Angoulême, che s’illude di dare la scalata all’alta società ma ne verrà stritolato – è una scuola di cinismo e volgarità morale. Onestà e principi non pagano, impara presto Lucien. L’informazione è merce, e la stampa un giro d’affari. I primi rudimenti che gli instilla il suo mentore suonano stranamente familiari. “Se non puoi fare favori attraverso il giornale, non esisti”. “Per fare una buona recensione, meglio non leggere il libro: potrebbe influenzarti”. “Una bufala (canard, in francese) e la sua smentita fanno due notizie”.
“Pagheresti per venderti” dice a un amico giornalista Gérard Depardieu, che nel film è il più potente editore di Parigi, un ex fruttivendolo che non sa leggere e scrivere. Si decreta, a tariffa, il successo o il fiasco di un libro come di uno spettacolo. E a reggere i fili di tutto c’è l’alta finanza, che dal suo Olimpo manipola l’ascesa e il declino delle testate, e di chi vi scrive, come burattini. Ma di battute folgoranti firmate Balzac il film è zeppo. “Solo le persone superficiali non giudicano dalle apparenze”. E l’ironico aneddoto sul cinismo dei critici (all’epoca figure importanti) che al Lago di Tiberiade vedono avvicinarsi Gesù: “Guarda – dice uno all’altro – non sa neanche nuotare!”. È il caso di ricordare che Friedrich Engels sosteneva di aver imparato più cose da Balzac che da tutti gli economisti?
Ho letto almeno tre volte Illusioni perdute nel corso della vita, ma non ricordavo tanta potenza di denuncia, anche perché nel libro è diluita tra le private vicissitudini di Lucien, la sua relazione pericolosa con Madame de Bargeton (nel film Cécile de France) e la povera attricetta sessualmente sfruttata Coralie. Lucien è Benjamin Voisin, già valorizzato da François Ozon in Estate ’85. Nel cast, oltre a Depardieu, anche un regista di culto, e attore all’occasione, come Xavier Dolan, Jeanne Balibar e l’ottimo Vincent Lacoste. Ma in questo film le vere star sono le parole, il modo lancinante in cui fotografano meccanismi duri a morire. Il problema è che sfrecciano a velocità massima, richiedono interesse e concentrazione. Spero tanto che a guardare Illusions perdues con strazio e passione, quando uscirà in Italia con I Wonder Pictures, non siano solo topi di biblioteca e operatori – a qualunque titolo – del mondo dell’informazione.