(ilpost.it, 26 febbraio 2024)
Durante i suoi ultimi spettacoli, il comico americano Bill Hicks diceva spesso al pubblico che forse era l’ultima volta che si esibiva. La gente la prendeva come una delle sue tante sparate, ma a Hicks era stato diagnosticato ormai da diversi mesi un cancro al pancreas, che si era metastatizzato al fegato. Aveva solo 32 anni, ma da un po’ di tempo aveva raggiunto una certa fama tra i cultori della stand-up comedy, la tipica comicità americana a monologhi, sia negli Stati Uniti sia nel Regno Unito.
Non era una vera e propria celebrità, però: quella sarebbe arrivata principalmente dopo la sua morte, che avvenne il 26 febbraio 1994, trent’anni fa. Da allora Hicks è diventato uno dei comici americani più venerati della storia, al pari di George Carlin, Richard Pryor e Lenny Bruce, ed è stato citato come un’ispirazione da molti dei comici più affermati dei decenni successivi. Le sue battute irriverenti, controverse, profetiche e caustiche negli anni hanno avuto un’enorme diffusione su YouTube, anche grazie a comunità di fan sparse per il mondo che li hanno sottotitolati con zelo. Che se la stesse prendendo con la religione organizzata, con gli antiabortisti o con i proibizionisti, i suoi monologhi – sempre vestito di nero, sempre con la sigaretta in bocca – sono diventati per una parte dei suoi fan qualcosa di più importante di semplici testi comici, alla stregua di rivelazioni su come vedere il mondo.
Questo aspetto della sua eredità è anche quello che ha fatto sì che negli ultimi anni Hicks sia apparentemente un po’ meno considerato e apprezzato. Come succede spesso con i comici che vengono presi molto seriamente dai loro fan, alla grande considerazione di molti si sono affiancate le critiche di chi ha sottolineato gli aspetti del suo repertorio che non sono invecchiati bene, specialmente la disinvoltura di certe battute oggettivamente sessiste o omofobe. Altri hanno messo in discussione il suo stile sentenzioso e il suo filosofeggiare a volte spiccio: nel 2012 un articolo su Vice lo definì un comico autocompiaciuto che si prendeva tremendamente sul serio – «ascoltarlo è come ascoltare uno che ha appena scoperto Noam Chomsky» – e che spiattellava le battute senza particolari sottigliezze.
L’articolo, che era una classica provocazione di Vice, si chiedeva anche se alla fine il problema principale di Hicks non fosse proprio l’eccessiva venerazione che gli riservavano certi suoi fan. Tra i quali c’è anche il critico di comicità del Guardian Brian Logan, il quale, confrontandosi con alcuni giovani comici sull’eredità di Hicks, ha rilevato che a risultare particolarmente sgradevole per le nuove sensibilità era la sua abitudine di salire sul palco e spacciare come fatti incontestabili le sue opinioni, e ad atteggiarsi a tratti come un predicatore. Uno stile molto popolare negli anni Novanta, che oggi risulta però particolarmente datato soprattutto quando abbinato a un’esibizione della mascolinità che oggi verrebbe definita “tossica”.
Hicks era nato nel 1961 in una piccola città della Georgia, in un contesto retrogrado e rurale che avrebbe spesso preso in giro nei suoi spettacoli. Cominciò a far ridere la gente da bambino, imitando Woody Allen e Richard Pryor, e nella seconda metà degli anni Ottanta cominciò la sua carriera da comico professionista, mantenendosi con gli spettacoli in giro per i comedy club degli Stati Uniti. Fu nel 1990 che iniziò a farsi notare quando alcuni dei suoi primi cd – allora gli spettacoli comici in formato album erano un supporto piuttosto popolare – ebbero successo, e da lì iniziò ad apparire in televisione. Un suo tour nel Regno Unito nel 1992 lo rese particolarmente popolare tra il pubblico britannico più giovane, che contribuì alla diffusione di quelli che rimangono ancora oggi i suoi spettacoli più famosi: Dangerous, Relentless e Revelations.
Tra gli anni Ottanta e Novanta, Hicks fu un grande sostenitore della libertà di espressione e dell’abbattimento dei tabù nella comicità, in un periodo in cui quella americana si stava adagiando su un’interpretazione molto innocua ed educata del mestiere di far ridere la gente. Come ha scritto il comico Patton Oswalt in un articolo in cui ha spiegato l’influenza che ebbe Hicks su di lui, «il pubblico dei comedy club negli anni Ottanta pensava davvero di essere rivoluzionario e pericoloso ascoltando un comico con un giubbotto sportivo e le maniche arrotolate prendersela con l’assurdità del cibo sugli aerei, i buchi nella trama di L’isola di Gilligan e le differenze tra cani e gatti».
Il fatto che uno dei suoi più grandi fan sia Oswalt, un comico la cui grande fama è legata strettamente al suo essere un tipo buono, cordiale e politicamente corretto, oltre che divertente, dice qualcosa su quanto sia sfaccettata l’eredità di Hicks. A essere molto legati al suo stile provocatorio e iconoclasta sono, infatti, anche tanti comici di oggi che hanno invece costruito la propria fama su un’interpretazione assai più sterile della scorrettezza politica, e per cui le battute offensive sono più un modo per attrarre un certo tipo di pubblico che strumenti per far ridere la gente su questioni di cui, fuori dagli spettacoli comici, può essere difficile sdrammatizzare.
Oggi certe cose di Hicks sono invecchiate bene, altre meno, alcune fanno ancora molto ridere, altre meno. In un contesto in cui le discussioni sui limiti e il ruolo della comicità si sono molto polarizzate, le considerazioni di Hicks sono spesso citate da chi sostiene la necessità di assicurare alla satira la massima libertà espressiva. Tra i comici più o meno dichiaratamente ispirati al suo approccio ci sono Ricky Gervais e David Chappelle, tra i più amati e talentuosi della loro generazione, che di recente hanno intrapreso una sorta di battaglia ideologica contro gli eccessi del politicamente corretto e l’intransigenza del cosiddetto pubblico “woke”. E che per questa loro ostinazione, sempre meno ispirata secondo la maggioranza delle recensioni ai loro ultimi spettacoli, hanno perso un pezzo di pubblico, pur continuando a pubblicare i loro spettacoli su Netflix, la più grande piattaforma di streaming a disposizione.
Un problema che è per certi versi speculare alla perdita di rilevanza della stand-up comedy negli ultimi anni, dovuta secondo molti, oltre che all’eccessiva offerta, al fatto che la maggior parte dei comici abbia rinunciato a trattare temi controversi e potenzialmente offensivi. Tirando le fila della sua ricognizione sulla popolarità di Hicks tra le nuove generazioni di comici, Logan conclude: «mi piace la comicità moderna, la sua diversità, la sua creatività, la sua empatia. Ma da persona più vicina all’età che avrebbe Hicks, non posso non guardare alla diffusa riluttanza a offendere, o a proporsi come autorità, senza pensare che lascia il potere perlopiù indisturbato».
Hicks ai tempi non aveva a che fare con la censura indiretta che talvolta esercitano i social network, ma con quella più evidente delle televisioni. Nel 1992 fu invitato a una delle prime puntate del Late Night Show with David Letterman sulla Cbs. Ma il suo monologo, che conteneva battute sugli antiabortisti e sulla religione, non fu mandato in onda per decisione dello stesso Letterman, che anni dopo avrebbe chiesto scusa invitando la madre di Hicks in trasmissione. Un episodio che contribuì alla sua fama di comico rock and roll, assieme all’abbondante uso di sostanze stupefacenti che rivendicò e raccontò in molti dei suoi spettacoli.
Bill Hicks non disse quasi a nessuno della sua malattia, fino all’ultimo. Dopo la morte tra i tanti che lo omaggiarono ci furono anche i Radiohead, che gli dedicarono il loro disco The Bends del 1995. Mesi dopo la famiglia diffuse il suo ultimo messaggio, che si concludeva dicendo: «Me ne vado innamorato, ridendo, e nella verità, e ovunque siano l’amore, la verità e le risate, sono lì con lo spirito».