Il valore che diamo a pezzi di corpi di persone famose

(ilpost.it, 24 agosto 2022)

In occasione del bicentenario dell’indipendenza del Brasile, che ricorrerà il 7 settembre, il Portogallo ha deciso di prestare per qualche tempo alla sua ex colonia un oggetto unico che da 188 anni è custodito in una chiesa di Porto: il cuore imbalsamato del primo imperatore del Brasile, Pietro I, proclamatore dell’indipendenza del Paese. Il 22 agosto il cuore conservato in un’urna riempita di formaldeide è arrivato a Brasilia su un aereo militare portoghese, accompagnato dal sindaco di Porto, Rui Moreira. Ha ricevuto la stessa accoglienza di solito riservata ai capi di Stato – «il cuore sarà trattato come se Pietro I fosse ancora in vita», aveva spiegato il ministero degli Esteri brasiliano – con tanto di colpo di cannone. Fino alla fine dei festeggiamenti per il bicentenario il cuore imbalsamato sarà esposto nella sede del ministero degli Esteri, dove i cittadini brasiliani potranno vederlo.

Ph. Eraldo Peres / Ap – LaPresse

Tutta l’iniziativa può sembrare bizzarra, ma non è certo la prima volta che un pezzo del corpo di una persona famosa riceve un trattamento speciale e una particolare considerazione: al contrario, nel mondo ci sono numerosi esempi di cuori, cervelli, teschi o altre porzioni di cadaveri appartenenti a personaggi illustri che sono esposti al pubblico e che ricevono costantemente visite. Per gran parte della Storia europea è successo a parti del corpo (o presunte tali) di santi, che venivano considerate miracolose: sono le cosiddette “reliquie”, tuttora conservate in molte chiese. Ci fu anche un periodo, tra il XVII e il XVIII secolo, in cui anche i resti di persone comuni, le cosiddette “mummie”, furono considerate un valido ingrediente di farmaci. Fortunatamente quest’usanza è poi passata di moda, ma l’interesse per resti corporei di persone famose è continuato e negli ultimi secoli a quelli a cui si attribuisce un valore sacro se ne sono aggiunti altri, laici, eppure comunque considerati significativi. È il caso ad esempio di un altro cuore conservato in modo simile a quello di Pietro I, sebbene nascosto alla vista, e a sua volta insignito di un valore patriottico: quello di Fryderyk Chopin, che si trova in un contenitore pieno di un liquido alcolico – forse cognac – all’interno di un pilastro della Chiesa della Santa Croce di Varsavia, mentre il resto del corpo del grande compositore polacco è sepolto nel cimitero del Père-Lachaise di Parigi.

Chopin morì dopo una lunga agonia, probabilmente dovuta alla tubercolosi, proprio nella capitale francese, nel 1849. Aveva 39 anni e non era più tornato nel suo Paese d’origine dopo averlo lasciato a 20. Chiese che dopo la morte il suo cuore fosse rimosso dal suo corpo perché aveva il terrore di essere sepolto vivo per errore, e che fosse portato a Varsavia per via dei suoi forti sentimenti patriottici: per tutta la vita del compositore la Polonia non esistette come Stato – era stata divisa tra Russia, Prussia e Austria nel 1795 e sarebbe tornata indipendente solo dopo la Prima guerra mondiale – e Chopin, che se ne era andato da Varsavia in seguito alla repressione di una rivolta nazionalista, espresse il proprio patriottismo nella sua musica, che assunse un importante valore nazionale per i polacchi già all’epoca. Proprio per questo sua sorella Ludwika dovette portare il cuore in Polonia di nascosto: se le autorità prussiane o russe l’avessero scoperto, lo avrebbero probabilmente confiscato per evitare che fosse usato per fomentare i sentimenti nazionalistici polacchi. Questa parte della storia del cuore è peraltro raccontata in I vagabondi, uno dei libri più famosi della scrittrice polacca Olga Tokarczuk, premio Nobel per la Letteratura del 2018, che ha immaginato che Ludwika Chopin, attraversando i confini dell’epoca, nascondesse l’urna contenente il cuore del fratello sotto la sua gonna, appesa con una rete alla crinolina che le donne indossavano in quel periodo storico.

Le avventure del cuore di Chopin, comunque, proseguirono in seguito. Durante la Seconda guerra mondiale la Polonia fu occupata dalla Germania nazista e a un certo punto pare che il cuore fu rimosso dalla Chiesa della Santa Croce, che peraltro successivamente venne bombardata. Circolano diverse versioni di quanto accadde, in realtà: secondo quella ufficiale il cuore venne conservato nel quartier generale delle SS durante l’occupazione, ma c’è anche chi pensa che venne distrutto nel bombardamento della chiesa e che quello che si trova ora al suo interno sia il cuore di qualcun altro. Quel che è certo è che, dopo la fine della guerra, un cuore venne nuovamente posto all’interno di un pilastro del luogo di culto. Sulla lapide che ne segnala la presenza è riportata una citazione del Vangelo di Matteo: «Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore». Nel 2014 a un piccolo gruppo di scienziati è stato permesso di esumare, vedere brevemente il cuore e fotografarlo, per verificare che fosse in un buono stato di conservazione. Pur non avendo potuto fare analisi approfondite, gli scienziati conclusero che il compositore morì effettivamente di tubercolosi e non per altre cause ipotizzate in tempi recenti dagli storici. Tale conclusione è stata contestata, ma almeno fino al 2064 non saranno autorizzate ulteriori ispezioni: la Chiesa e lo Stato polacco, che non hanno voluto che nel 2014 fosse condotto un vero e proprio studio, sono molto gelosi del cuore e ritengono che debba essere rispettato lasciandolo nel suo pilastro. Chi crede che non sia il vero cuore di Chopin sostiene che la reale motivazione di questa scelta sia il voler nascondere la verità.

Non solo cuori ma anche altri pezzi di cadaveri famosi hanno avuto storie complicate, soprattutto perché molti non furono prelevati dai corpi a cui erano legati col consenso dei loro proprietari. È ciò che accadde, ad esempio, al dito medio della mano destra di Galileo Galilei. Fu rimosso dai suoi resti nel 1737, quasi cento anni dopo la morte del grande scienziato, in occasione del loro spostamento dalla tomba originale al sepolcro monumentale nella Basilica di Santa Croce di Firenze. A prelevarlo fu il sacerdote e studioso Anton Francesco Gori, su richiesta dell’ultimo discepolo di Galileo, Vincenzo Viviani, morto nel 1703. Il dito fu esposto per molto tempo nella Biblioteca Laurenziana, poi nel Museo di Fisica e Storia Naturale e, infine, dal 1927 si trova nel Museo di Storia della Scienza (o Museo Galileo), sempre a Firenze, dove può essere visto tuttora all’interno di un contenitore di vetro. L’iscrizione in latino sul piedistallo dice: «È questi il dito, onde la mano illustre / Del Ciel scorse segnando i spazi immensi, / E nuovi Astri additò, di vetro industre / Maraviglioso ordingo offrendo a’ sensi, / E ciò con saggio ardir giunger pote’o, / Ove non giunse Encelado, e Tifeo». Anche altri pezzetti del suo corpo furono rimossi in occasione della traslazione della salma: una vertebra, conservata all’Università di Padova, dove Galileo insegnò; altre due dita e un dente, che passarono di mano in mano fino a quando nel 2009 un collezionista rimasto anonimo li riconobbe a un’asta (erano in una teca sovrastata da un busto di legno che somigliava solo vagamente a Galileo) e, dopo averli acquistati, li donò sempre al Museo di Storia della Scienza di Firenze.

Le storie di questi celebri pezzi di cadaveri di persone famose e di vari altri (il presunto cranio di Cartesio, il pene di Napoleone, il cervello di Albert Einstein) sono raccontate in un libro dello scrittore Antonio Castronuovo, Ossa, cervelli, mummie e capelli, pubblicato nel 2016 dalla casa editrice Quodlibet. Castronuovo – peraltro traduttore dell’iscrizione sotto il dito di Galileo – si spiega così il valore che viene dato a questi resti, da Stati oltre che da molte persone, e il fascino che tanti provano per loro: «È evidente che il culto laico riprende le forme del culto religioso e alimenta in certo modo una religione sostitutiva, dotata di una propria fonte di sacralità, se solo possiamo considerare l’ammirazione una forma di venerazione. La differenza tra reliquie civili e sacre è che le prime non sono investite di superstizione, non si attende da loro il miracolo: sono soltanto cocci organici di corpi che nutrirono, spesso, il culto della ragione». Secondo lo scrittore tuttavia il fenomeno «ha già superato l’acme, e oggi il feticismo profano si è ampiamente spostato sugli oggetti (la chitarra di Jimi Hendrix, la camicia col collettone di Elvis Presley, l’abito con cui la Callas cantò una Medea e così via)» e «oggi è difficile che qualcuno ambisca al cranio del proprio beniamino o al suo cuore sotto formalina», nonostante alcune eccezioni e l’esistenza di un mercato di reliquie biologiche, specialmente capelli.

Tra le persone con una certa notorietà c’è anche chi, consapevole dell’interesse per questi cimeli, ha cercato di evitare che ne fossero creati di legati a lui: Castronuovo cita l’esempio del generale e presidente francese Charles De Gaulle, che ordinò che dopo la sua morte i suoi abiti fossero distrutti. Nel caso di Pietro I fu lo stesso sovrano brasiliano a chiedere, poco prima di morire, analogamente a Chopin, che il suo cuore venisse rimosso dal suo corpo e portato a Porto. Gli altri suoi resti furono deposti nel Pantheon del Casato di Braganza, a Lisbona, dove rimasero fino al 1972, quando furono portati a San Paolo, in Brasile, in occasione del quindicesimo anniversario dell’indipendenza del Paese: lì si trovano tuttora. Il cuore dell’imperatore, invece, tornerà in Portogallo.

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