Il Trump di Rozzano

LaPresse

di Guia Soncini (linkiesta.it, 5 dicembre 2024)

«Comportarsi da bulli aiuta nella vita, anche se ha un prezzo. Davanti ai bulli si tace, si sopporta o ci si inchina. Quasi mai, però[,] li si ama. Arrivano alla pancia. Non al cuore». È la chiusa del corsivo dell’altro ieri di Massimo Gramellini, forse articolo vincitore del premio “Capire meno il mondo” 2024, un anno nel quale c’è stata tesa competizione per il trofeo. Ma lunedì, davanti alla prima pagina del Corriere, ho avuto quel friccico che si ha di fronte alla vera incomunicabilità, ai capelli che fanno male, ai croccantini di Pavlov fuoriusciti dalla ciotola.

Certo, già l’uso di quello pseudoconcetto che è «bulli» ci avvisa che siamo di fronte a una puttanata (non credo sia mai esistito un ragionamento serio che includesse la categoria del bullismo, entrata nello scarsissimo dibattito pubblico poco prima di altre invenzioni recenti quali la premenopausa e il ghosting). Ma, direte voi, di cosa o di chi sta parlando Gramellini? Chi è il bullo che arriva alla pancia e non al cuore? (E con le farfalle nello stomaco come la mettiamo? Quanta complessità in questo frasifattismo).

È l’ex marito della Ferragni, del quale io non vorrei scrivere così spesso ma mi ci costringete. E non si trattava neanche di qualcosa che aveva fatto lui (ce ne sarebbero state, poi ci arriviamo), ma della presenza del suo nome in una lista, quella dei concorrenti di Sanremo. Certo, ne avevo scritto anch’io, e infatti ho molto rispetto per la necessità di Gramellini e mia di scodellare un articolo al giorno: vorrei vedere quelli con lavori normali, costretti ad avere sei idee a settimana (ben di più, facendo sia io sia Gramellini mille altre cose, ma già quelle sei ucciderebbero molti altri).

Per cui: Fedez a Sanremo. Da dove la prendo? Ma certo: dal fatto che, se Carlo Conti avesse annunciato la Ferragni a Sanremo, ci sarebbe stata in giro gente che si dava fuoco per protesta, e invece per lui niente, per la sua fedina morale un silenzio complice, «da Fedez si accetta tutto, persino le frequentazioni con i peggiori arnesi della città». È perché Chiara è femmina e con lei siamo più severi causa patriarcato? Mmm, no, si dev’essere detto Gramellini, che lodevolmente cerca di non essere banale. È per Trump.

«I caratteri come il suo – pensate a Trump o a certi opinionisti alla moda – non moderano gli eccessi, né si piegano all’intimidazione morale rappresentata dai giudizi e pregiudizi altrui. […] Non vogliono essere perdonati, ma temuti». Ora, conosco Gramellini e quindi non userò l’espediente retorico di chiedergli in pubblico chi mai al mondo tema Fedez. Non mi fingerò neanche così ingenua da credere che uno che scrive per mestiere creda davvero alle cose che scrive. Però. Però c’è uno spunto vagante in questa analisi sbilenca, ed è la ragione per cui ad alcuni il marito della Ferragni è di recente divenuto simpatico, e a quello spunto mi ha fatto pensare una mezza dozzina di telefonate che ho ricevuto nell’ultimo anno.

Due anni fa, una tizia che di mestiere accende il telefono e dice delle cose alla telecamera disse che la Meloni aveva vinto le elezioni perché i vecchi che si ostinavano a non morire avevano votato a destra. Solito giro: indignazione, scandalo, tu mia nonna novantottenne la lasci stare capitoooo, gogna, servizi di tg in tono contrito. Tutta roba vista un milione di volte, se sei pagato per capire il mondo. Se invece sei un osservatore distratto, ti pare una cosa pazzesca e rilevante (è la ragione per cui i giornali possono farci i pezzi ogni volta: perché il grande pubblico è composto di osservatori distratti).

In quei giorni mi trovai a una cena con un po’ di gente che faceva lo stesso lavoro della signorina, ed erano tutti terrorizzati. Tutti convinti nel ripetere che non avrebbe mai più lavorato. Era inutile dir loro che sarebbe tutto tornato come prima (come poi è successo: la signorina è tornata ad avere i suoi bravi sponsor e non dovrà a medio termine trovarsi un lavoro vero): accadeva a qualcuno che conoscevano, quindi era una novità terrorizzante.

Ma avevi parlato dell’ultimo anno, diranno coloro che hanno imparato a non perdersi tra le mie divagazioni. Vero. Perché un anno fa c’è stata la questione del pandoro. E quindi coloro che di mestiere accendono la telecamera del telefono – già di loro non i più svegli della cucciolata – ora, se provi a dir loro che qualunque scandalo è passeggero, che l’Internet non perdona ma dimentica, che non devi scusarti non devi rettificare devi stare zitto e fermo e aspettare che passi e che trovino un altro da linciare, loro ora ti rispondono: sì, e Chiara? (La chiamano tutti per nome, perché se ne percepiscono colleghi). Quindi io quest’anno ho passato inutili ore al telefono con gente che in quel quarto d’ora era protagonista d’un qualche scandale du jour ovviamente ora dimenticato, e quando dicevo «sii un inerte grumo di molecole e aspetta che passi» si agitavano dicendomi ma no, ma devo rettificare, e mentre io pensavo «ma allora cosa chiedi a fare, cosa mi fai perdere tempo», aggiungevano immancabilmente: guarda com’è finita Chiara.

A nessuno – neanche a Gramellini – viene in mente che la Ferragni abbia fatto malissimo a scusarsi, perché la folla che urla «Barabba» se sente l’odore del sangue si avventa con più furore, e perché niente basta mai, non le scuse, non la contrizione, non il milione in beneficenza. Martedì, mentre noi avevamo appena smesso d’interrogarci sui nomi a Sanremo, la Ferragni si fotografava con Bianca Balti, e io mi chiedevo cosa si sarebbe ritrovata nei commenti a quella storia di Instagram: ti fotografi con una col cancro dopo che hai truffato sui bambini oncologiciiii. Per fortuna i commenti alle storie di Instagram non sono visibili al pubblico, sennò la folla di Barabba si sarebbe fomentata ancor di più, ormai definitivamente passata, per quel che concerne la Ferragni, dalla modalità «osanna» a quella «crucifige».

Non ci sarà nel prossimo futuro una Ferragni a Sanremo per la stessa ragione per cui Dior o Prada non la invitano più alle sfilate: perché ci sono trucchi dialettici che funzionano più di altri, e «hai truffato sui bambini oncologiciiii» fa facile presa sia sui contribuenti che pagano il canone sia sulle multinazionali del lusso. Sì, ma avevi detto che lui invece era diventato simpatico. Dico, ma voi l’avete guardato l’Instagram di Fedez negli ultimi mesi? Ho passato con alcuni amici molti minuti ad analizzare l’aereo privato con cui è andato a New York. Sono un trecentomila di noleggio, può averli spesi lui? Nah, è il prestito d’un amico ricco. È Del Vecchio? È qualcun altro ch’egli tiene saggiamente fuori dal suo Instagram?

Potrei a questo punto parlarvi di Bill Clinton: è stata Tina Brown a notare, nella sua newsletter, che il nodo di Citizen, la sua nuova autobiografia, sono gli aerei privati, che la mappatura del potere si fa sapendo chi è in grado di farti volare non di linea, che il fattore d’attrazione di Jeffrey Epstein non era procurarti minorenni ma procurarti jet privati. Ma non serve Clinton, basto io per dirvi che ormai volare di linea è un tale inferno che è meglio stare a casa, e Fedez è nato abbastanza povero da saperlo, epperciò la cosa più importante che ha fatto in questo anno è stata decidere che se ne fotteva dei moralisti che han chiuso i bar e degli ambientalisti che han chiuso i diesel, e soprattutto se ne fotteva dei commenti indignati che gli sarebbero arrivati.

Federico Lucia, che è analfabeta ma ha un’intelligenza delle cose, ha capito quel che gente che pubblica libri o almeno ci si fotografa invece no: che i commenti social sono solo commenti social, non diventano mai niente (neanche consapevolezza, dopo la botta di dopamina dell’«ah ma gliele ho cantante e il mio commento ha già 73 like»). Non diventano bilanci aziendali né successi artistici: se fai una canzone moschicida, la ascoltiamo anche se ti abbiamo appena scritto «vergognaaaa». E quindi quest’anno è andato col volo privato ovunque, anche nel codice postale adiacente. Si è fotografato su più aerei privati lui di Elisabetta Franchi (un’altra che non ha intenzione di simulare basso profilo e preoccuparsi di chi le scriverà nei commenti social «io non arrivo a fine mese e tu ostentiiii», e perciò mi è molto simpatica).

Lunedì, mentre ci si baloccava con paragoni un po’ così tra lui e Trump, mi raccontavano che la sua canzone di Sanremo parlerà di depressione, qualcuno ha anche usato il verbo «sensibilizzare», di fronte al quale ho sempre la tentazione di chiedere il porto d’armi, e chissà se a febbraio Gramellini gli dirà bravo, perché «bullo» casella dei cattivi e «sensibilizzare» casella dei bravi. Intanto però, soffermandosi per un po’ sulla casella dei cattivi, Fedez andava a fare un rap polemico in una di queste puttanate YouTube di cui non voglio memorizzare il nome per paura che sottragga spazio nel mio non capiente cervello a qualche pagina della Recherche.

Il mio verso preferito è «La Digos dice che mi adora». Ma, a un certo punto, ci sono questi due versi qui: «Ringrazio tutti i miei fans che mi hanno votato: quest’anno al Fantamorto quanto sono quotato?». L’anno scorso io neanche sapevo esistesse, il Fantamorto: non frequento tredicenni, che voglio sperare siano il pubblico di riferimento d’un giochino in cui si scommette su chi morirà. Poi quest’anno ho conosciuto una – tecnicamente adulta, pure con delle pretese intellettuali – che ci gioca e che, guarda un po’, ogni anno mette in lista Fedez, e ogni anno è un po’ scocciata che lui si ostini a vivere.

Ci sarebbe un lungo discorso da fare sulla fama, sulla fama come unico mezzo per fare molti soldi se non li erediti, sulla fama che non è più quella dei Beatles e della regina Elisabetta, sulla fama in quest’epoca in cui ogni Big Ben è sostituibile, ma forse mi farò solo una breve domanda: chissà se Elizabeth Alexandra Mary Windsor ha mai saputo che esisteva un giochino in cui si scommetteva a chi moriva prima, e se le hanno mai detto in quanti speravano morisse proprio lei. Forse no, perché era – beata lei – un cascame del Novecento, un secolo in cui esistevano le classi sociali e potevi non sapere come si divertissero nelle stanze della servitù. Invece adesso sei un milionario che viaggia in aereo privato, ma non abbastanza milionario da possederne uno, e scommettono pure che creperai presto. Francamente, in una vita così di merda, mi pare un problema minore se arriva un editorialista a darti del bullo.

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