di Maria Antonietta Calabrò (huffingtonpost.it, 13 gennaio 2020)
Qui non lo chiamerò Benedetto. E tanto meno Benedetto XVI, per grazia di Dio Pontefice della Chiesa Universale a partire dal 2005. Perché Benedetto XVI non esiste più dal 28 febbraio 2013, quasi sette anni fa. Benedetto XVI si può citare per quello che ha scritto e detto durante quel periodo, come si fa con i suoi predecessori defunti.Aver firmato un libro a quattro mani con il cardinale Robert Sarah col nome di Benedetto XVI, in cui il cosiddetto papa emerito pone “un altolà” sul celibato dei preti proprio mentre sta per essere pubblicata l’Esortazione apostolica post sinodo dell’Amazzonia di papa Francesco (in cui una delle opzioni scandagliate è l’ordinazione di uomini sposati per celebrare i sacramenti in zone prive di un prete per migliaia di chilometri), è un’entrata a gamba tesa, un tackle in termine calcistico, di Ratzinger. Un fallo da cartellino rosso, ai danni non tanto di papa Francesco ma dell’autorità stessa del successore di Pietro (per chi ci crede, e Ratzinger ci dovrebbe credere). Perché Francesco – piaccia o no – non è stato scelto solo dai “signori cardinali”, ma in primis dallo Spirito Santo (sempre per chi ci crede).
Quello che è più grave è che l’iniziativa editoriale di Ignatius Press, lanciata ieri da Le Figaro [Des profondeurs de nos cœurs; in francese per le Éditions Fayard e in inglese per Ignatius Press, N.d.C.] – al di là del contenuto e della tesi sostenuta –, genera quella che il filosofo Ludwig Wittgenstein chiamerebbe “una trappola del linguaggio”, ai danni di tutti, credenti e non credenti. E con questa trappola del nome (il nome che l’allora cardinale Joseph Ratzinger si è scelto quando è stato eletto papa Benedetto XVI) alimenta la percezione dell’esistenza di due papi, di due autorità, finendo per relativizzare ulteriormente la fede, soprattutto quella popolare, su argomenti che riguardano direttamente la disciplina della religione cattolica. Per di più, nell’immediatezza di un intervento papale; qualunque esso sia, chiunque sia il Papa, è bene sottolinearlo. Altrimenti si scade ulteriormente nella fiction: quella della serie di Sky, con Pio XIII in coma, Francesco II avvelenato e un futuro “new Pope”.
Non si tratta, secondo me, neppure di sostenere che il nuovo libro mina l’istituzione in sé, come se il Papa fosse la Corona inglese (parallelo con la serie di Netflix The Crown efficace, ma puramente immaginifico di Massimo Faggioli su twitter) e, quindi, tutti devono stare allineati al regnante pontefice per evitare di portare a galla le crepe. Non si tratta di questo. Sarebbe stato meglio, per Ratzinger, seguire i dettami di un’altra famosa proposizione di Wittgenstein: “Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere”. “Non posso tacere” ha scritto invece Ratzinger nel libro, citando Sant’Agostino.
Forse ha ragione ma questo vale, appunto, per l’alto ecclesiastico sopravvissuto – uso il termine come lo si usa per i sopravvissuti agli abusi del clero – al papato, al secolo Joseph Ratzinger, e non per Benedetto XVI. Ma forse il libro avrebbe molto meno appeal (per l’oggi e per il futuro Conclave) e venderebbe meno. “La filosofia” – e, possiamo aggiungere, la sapienza – “a questo deve servire, ad aiutare la mosca a uscire dalla bottiglia” ha scritto Wittgenstein (che in comune con Ratzinger aveva l’amore per le Confessioni di Sant’Agostino). E non a tapparcela dentro.