di Massimo Nava (linkiesta.it, 5 agosto 2019)
Se fosse un’epidemia ci sarebbe la corsa ai vaccini, a misure di prevenzione, a organizzare un cordone sanitario. Sembra invece che i cittadini si divertano a diffondere il virus fra i vicini di casa, che molti giornali si preoccupino di dimostrarne la non pericolosità e alcuni media di garantirne i vantaggi per la salute pubblica, che medici e infermieri stiano alla finestra, benché preoccupati, nell’attesa indefinita che l’epidemia passi da sola.
Per “fortuna” non si tratta di epidemia, ma di propaganda politica, di consenso acritico costruito su bugie, paure e pericoli inesistenti, di successo amplificato da un’opinione pubblica in parte inerte e succube, di indifferenza imbelle di chi dovrebbe reagire, di adesione convinta di quanti pensano di trarne qualche vantaggio. Per “fortuna” si tratta solo di Matteo Salvini, del ministro degli Interni, diffuso h24 in tutte le versioni e abbigliamenti possibili: felpato, balneare, a torso nudo, in divisa, come uno Zelig per tutte le stagioni e le occasioni, tranne quella in cui dovrebbe stare al suo posto, ossia nell’ufficio del ministero o in visita ufficiale nei territori sensibili della Repubblica. Possibilmente con la cravatta e la giacca, perché anche “Uno di Noi” dovrebbe essere rispettoso delle istituzioni.
Conformismo e sudditanza, tranne poche voci isolate, ricordano appunto la diatriba manzoniana sulla peste, “sostanza o accidente?”, mentre nel frattempo il virus si diffondeva senza freni. Interviste a tutta pagina, televisioni schierate, conferenze stampa balneari, danze improvvisate attorno al ministro, l’Inno di Mameli cantato da cubiste, poche domande cattive, poche voci indignate, nessuno che decida di alzarsi quando il ministro insulta un collega. Che cosa stiamo diventando? Che cosa siamo già diventati?
Nei giornali di una volta c’era la consuetudine di intervistare un politico o persino un presidente “sotto l’ombrellone”, quasi un appuntamento fisso per riflettere e discutere in libertà su problemi e temi del momento. Non mancavano conferenze stampa improvvisate, anche nei luoghi di villeggiatura, se fosse stato urgente e necessario. Leggendarie le “picconate” di Cossiga dalla sua Sardegna o le pungenti esternazioni di Pertini, circondato da cronisti sulle Dolomiti. Ma non si era mai vista, nemmeno nella privata fiera berlusconiana con bandane, cantanti e veline di contorno, una pubblica espressione di cattivo gusto come la serata al Papeete Beach. Eppure il cattivo gusto va in scena fra sguardi adoranti di villeggianti e corse al selfie con Salvini (ahimè c’è cascato persino il grande Arrigo Sacchi, mentre Nereo Rocco avrebbe liquidato la cosa con un elegante va’ in mona).
Che tutto questo faccia maturare un probabile 40 per cento di consenso elettorale la dice lunga sullo stato di salute del Paese, sul livello di disinformazione e condizionamento, sulla mostruosa macchina propagandistica di Salvini, oggettivamente abilissimo nel rintuzzare le critiche, irridere gli avversari, galvanizzare le truppe. Lascia invece sgomenti e perplessi l’impasse dell’opposizione, prigioniera di liti interne e veti incrociati, ridotta a una sorta di Aventino rissoso. Indigna la sudditanza degli alleati di governo, uomini e donne arrivate in massa al potere sull’onda di una domanda di cambiamento anche genuina, oggi aggrappati alla poltrona come cozze agli scogli. Fa venire i brividi il diradarsi di voci critiche.
E tutto questo è ancora niente rispetto al disperante e persino inconscio meccanismo di amplificazione di tutto ciò che Salvini fa e dice, senza che nessuno chieda conto del suo operato e ottenga un bilancio onesto del suo lavoro. Si possono analizzare all’infinito motivi e cause per cui una maggioranza di italiani sfiduciati e rancorosi abbia bisogno del Capitano balneare. Ma è disperante che anche la parte di italiani che vorrebbe continuare a vivere in un Paese normale si stia sottomettendo a questa logica infernale. Qualcuno per conformistica indifferenza, qualcuno con l’inconsapevole complicità di ritwittare e commentare le gesta del Capitano quando sarebbe più igienico, per la salute pubblica, ignorarlo. I media fanno il resto. Così la Repubblica si suicida, quasi senza accorgersene.