(ilpost.it, 2 agosto 2023)
Il 24 luglio 2022, durante il più famoso festival annuale di musica folk al mondo, a Newport nel Rhode Island, la 42enne cantautrice statunitense Brandi Carlile annunciò dal palco in cui avrebbe dovuto suonare con altri musicisti un’ospite inattesa: Joni Mitchell, una delle più influenti, famose e versatili cantautrici nordamericane degli anni Sessanta e Settanta. La sua presenza fu celebrata dai media come un grande evento: Mitchell, che ha 79 anni ed è autrice di canzoni popolarissime tra cui Both sides now, A case of you e Big yellow taxi, si era infatti vista pochissimo in pubblico dopo un aneurisma avuto nel 2015 e un lento recupero, e già all’epoca non faceva concerti da oltre un decennio.
A Newport Mitchell cantò alcuni dei suoi maggiori successi insieme a Carlile e altri musicisti, quasi per tutto il tempo da seduta, e quel concerto è stato da poco pubblicato in un disco, At Newport, che sta ricevendo attenzioni e apprezzamenti per diverse ragioni. Prima di tutto per la storia incredibile che racconta: quella del ritorno sorprendente e ammirevole di Mitchell, ma anche quella di altre musiciste, soprattutto Carlile, che lo hanno favorito e reso possibile da prima dell’estate scorsa e anche dopo. Dopo la partecipazione a sorpresa al festival di Newport Mitchell ha ricominciato a farsi vedere in giro e ha anche ricevuto il Gershwin Prize, il premio alla carriera assegnato dalla Biblioteca del Congresso statunitense ai migliori autori e autrici di musica popolare contemporanea. Soprattutto ha ripreso a suonare dal vivo: il 10 giugno scorso al Gorge Amphitheatre, nello Stato di Washington, ha tenuto un suo concerto per la prima volta dal 2000, durato quasi tre ore e descritto come una «resurrezione».
Nella prima e più famosa parte della sua carriera, Mitchell, nata nella provincia dell’Alberta, in Canada, ma poi trasferitasi negli Stati Uniti nel 1965, è stata una delle più ammirate cantautrici nordamericane. Lo fu in quel periodo di successo estesissimo e molto raccontato del folk statunitense tra gli anni Sessanta e Settanta, di cui diventò un’esponente centrale insieme a cantanti e musicisti come David Crosby, Graham Nash, Judy Collins e James Taylor, con cui collaborò a lungo. Scrisse all’epoca alcuni dei suoi maggiori successi: Both sides now, Chelsea morning, A case of you e Big yellow taxi. La maggior parte di quelle canzoni aveva delle grandi storie dietro e intorno: sulle relazioni sentimentali di Mitchell, alcune con altri musicisti, ma anche di tutto un genere di sentimenti all’epoca molto condivisi e popolari che lei seppe mettere nelle canzoni meglio di altri.
Woodstock, uscita a marzo del 1970 nel disco Déjà vu di Crosby, Stills, Nash & Young, diventò una delle canzoni più simboliche del festival più famoso della storia della musica rock. E la scrisse Mitchell, che a Woodstock aveva in programma di andare nel 1969 ma alla fine non andò: perché il traffico le avrebbe impedito di mantenere un impegno con un programma televisivo, si racconta. In quello stesso disco di Crosby, Stills, Nash & Young c’era Our house, scritta da Nash ma che non sarebbe mai esistita senza Mitchell. Lui la compose al pianoforte di lei quando vivevano nella casa che avevano comprato insieme a Laurel Canyon, Los Angeles. Anche lei scrisse una canzone su di lui, poco tempo dopo la fine della relazione: My old man, uscita nel 1971 nel suo disco Blue, considerato ancora oggi uno dei migliori dischi di tutti i tempi. Mitchell studiò anche pittura fin da quando era bambina: sono suoi, tra le altre cose, i disegni delle copertine di diversi suoi dischi, incluso l’autoritratto sulla copertina di Clouds.
Dopo Blue Mitchell integrò nel suo stile di composizione approcci e arrangiamenti più vicini al jazz, molto presenti nel disco del 1974 Court and Spark, peraltro uno dei suoi dischi di maggior successo commerciale. E dalla seconda metà degli anni Settanta in poi collaborò con maestri di quel genere tra cui Jaco Pastorius, Wayne Shorter, Herbie Hancock e Charles Mingus, per poi sperimentare suoni più pop negli anni Ottanta e Novanta, ridurre progressivamente la pubblicazione di nuove canzoni e dedicarsi alle reinterpretazioni, anche orchestrali, dei suoi classici. Ma il suo stile non era mai stato convenzionale nemmeno prima, quando utilizzava perlopiù strumenti acustici e arrangiamenti minimali. Una delle caratteristiche del modo di Mitchell di suonare la chitarra sono sempre state le accordature aperte, un tipo di regolazione delle corde non convenzionale – ma comunque molto diffuso – che permette di ottenere un accordo completo suonando le corde “a vuoto” (senza cioè premerle con le dita).
Mitchell utilizzò tantissime accordature aperte, tutte diverse. Questa sua preferenza fu in parte ispirata dai suoi gusti musicali – Pete Seeger, uno dei suoi primi riferimenti musicali da bambina, utilizzava accordature di questo tipo –, ma anche favorita da circostanze particolari. Almeno inizialmente lo trovò un modo per lei più facile di suonare la chitarra, dopo che una poliomielite che la colpì quando aveva nove anni, e per cui rimase ricoverata per settimane, aveva indebolito la sua capacità nella diteggiatura con la mano sinistra. Con il tempo diventò soprattutto un modo di sperimentare approcci meno ortodossi e più creativi allo sviluppo dell’armonia e della struttura delle canzoni.
A causa di un grave aneurisma cerebrale avuto a marzo del 2015 – dopo che aveva smesso di fare concerti e di pubblicare canzoni nuove dal 2007 –, Mitchell dovette lentamente apprendere da capo non soltanto le sue abilità artistiche ma anche molte abilità di base, tra cui camminare e parlare. Dopo una lunga terapia di riabilitazione, durante la quale sparì quasi completamente dalla circolazione, ne parlò nel 2021, in un discorso durante la cerimonia dei Kennedy Center Honors, riconoscimenti alla carriera attribuiti ogni anno negli Stati Uniti a persone influenti nel mondo dell’arte, della musica e del cinema. «Con le parole ho recuperato abbastanza rapidamente, ma sto ancora faticando a camminare», disse. Accennò anche alla sua poliomielite infantile e al fatto che nella vita fosse «dovuta tornare più volte sulle cose» e che, in fondo, se la stesse cavando abbastanza bene.
Anche e soprattutto in considerazione di queste difficoltà, il ritorno di Mitchell è considerato ancora più stupefacente e significativo. In un’intervista dopo il concerto dell’estate scorsa a Newport, in cui suonò anche la chitarra in una versione strumentale di Just like this train, raccontò di aver imparato di nuovo a suonare osservando nei tanti video d’epoca di lei presenti on line come lei stessa prendeva gli accordi. I progressi nel recupero di Mitchell sono stati altrettanto ammirevoli riguardo alla voce, l’abilità che in assoluto l’ha resa più famosa e per cui è sempre stata più apprezzata, a parte quella di scrivere delle gran canzoni. Fin dai suoi primi dischi Mitchell si era fatta notare per l’ampiezza della sua estensione vocale, e successivamente per l’evoluzione del registro e la facilità con cui era passata da tonalità da mezzosoprano a tonalità da contralto, la più grave delle voci femminili. A queste capacità ha poi sempre aggiunto un timbro tutto suo, diventato ultimamente ancora più particolare e corposo. Lo ha recuperato e allenato negli ultimi anni attraverso l’aiuto stabile di un gruppo di musicisti che fin dal 2019 l’hanno accompagnata in pubblico e sostenuta in privato, spesso ospiti nella sua casa a Laurel Canyon per suonare insieme, in jam session da loro scherzosamente chiamate «Joni jams».
Benché appartenente a una generazione diversa da quella di Mitchell, e in attività nel mondo della musica soltanto dai primi anni Duemila, Carlile è stata in particolare la cantautrice che più si è occupata del ritorno di Mitchell, coordinando gli altri ospiti delle Joni jams. Conobbe Mitchell a Los Angeles nel 2018, in occasione di un concerto per celebrare il suo 75esimo compleanno, insieme ad altri musicisti famosi tra cui James Taylor, Graham Nash, Emmylou Harris, Rufus Wainwright e Glen Hansard. E si fece notare per le sue interpretazioni di A case of you, in duetto con Kris Kristofferson, e Down to you. Come raccontato dalla stessa Carlile, Mitchell le chiese se aveva voglia di mettere insieme un gruppo di musicisti per suonare, chiacchierare e bere qualcosa tutti insieme ogni tanto a casa sua. Carlile accettò subito, e due settimane più tardi era già a Laurel Canyon per provare qualcosa insieme. Tra gli altri musicisti che parteciparono occasionalmente a quegli incontri ci furono Elton John, Paul McCartney, Herbie Hancock, Bonnie Raitt e Chaka Khan, e anche Marcus Mumford dei Mumford & Sons, Jess Wolfe e Holly Laessig dei Lucius e Harry Styles.
Man mano che le condizioni di salute di Mitchell miglioravano, l’ipotesi di un suo ritorno a suonare dal vivo cominciò a sembrare plausibile. E Carlile, che Mitchell aveva ormai cominciato a chiamare la sua «ambasciatrice», preparò una scaletta di canzoni da suonare a Newport insieme ad alcuni dei musicisti delle Joni jams, all’interno dell’evento “Brandi Carlile + Friends”. «Sta facendo qualcosa di molto, molto coraggioso in questo momento per voi, gente», disse Carlile, dopo aver introdotto a sorpresa Mitchell durante l’evento. Fu un clamoroso successo, e pochi giorni più tardi Carlile scrisse: «Penso che Joni provi un certo piacere nel mostrare alle persone che ce la fa ancora. Ma anche nel mostrare alla gente che è ancora qui. Non vuole essere esclusa. Ha un’iperconsapevolezza di dove il mondo si trovi in questo momento e di quanto sia facile escludere le persone. In particolare le donne, e le donne di una certa età».
Del concerto a Newport fu molto apprezzata, tra le altre cose, la bravura con cui le due principali cantanti sul palco armonizzarono in modi nuovi le linee melodiche dei grandi successi di Mitchell. Nel concerto tenuto a giugno scorso al Gorge Amphitheatre Mitchell ha cantato ancora più a lungo: 24 canzoni, per un totale di quasi tre 3, accompagnata oltre che da Carlile da Annie Lennox, Allison Russell e altre. La voce di Mitchell è sembrata ancora «più forte, più ricca e più agile» di quanto lo fosse a Newport, ha scritto il New York Times: «Sentire Mitchell raggiungere di nuovo certe note con quella voce inimitabile è stato come scorgere in natura un magnifico uccello che da tempo si temeva fosse estinto».