Il ritorno dell’estetica country

Paramount

di Giuliana Matarrese (linkiesta.it, 31 maggio 2024)

Lo diciamo da subito, non è merito di Pharrell Williams o di Beyoncé se oggi parliamo di westerncore. I due imprenditori e artisti sono solo l’ultimo anello, quello più visibile, di una catena che vede le sue origini non certo in una sfilata o in un album neanche troppo country a dir la verità – per ammissione della stessa Beyoncé – ma in un susseguirsi di cause, serie tv e album musicali che vedono il loro inizio circa cinque anni fa. È stato allora, nel 2018, che Paramount Network ha mandato in onda la prima puntata di Yellowstone, serie tv nella quale Kevin Costner interpreta il ruvido John Dutton, tycoon e multimilionario proprietario di lande sterminate nel Montana, con annesso ranch.

E proprio quei possedimenti, che appartengono alla sua famiglia da generazioni, deve proteggere, con l’aiuto di tre figli uno psicologicamente più instabile dell’altro. Sarà per questo che in America hanno fatto presto a rinominarlo «un Succession, ma con i cavalli». La serie è una delle più viste degli ultimi anni, un fenomeno estremamente legato alla fascinazione che gli Stati Uniti hanno per la loro genesi, relativamente giovane, e ha prodotto già due prequel, cioè serie spin off nelle quali si raccontano le avventure delle generazioni precedenti della stirpe Dutton, fatta di cowboy e conquistatori del West.

Kevin Costner si è talmente appassionato al genere che ha deciso di produrre, dirigere e interpretare il film Horizon: an American saga, diviso in quattro diverse pellicole. Le prime due, molto attese, sbarcheranno negli States il 28 giugno e il 16 agosto. Prima, però, c’è stato John Dutton e figli – tra l’altro Yellowstone è ancora in corso, la seconda parte della quinta serie è stata rimandata per lo sciopero degli sceneggiatori a Hollywood e per qualche malumore tra Costner e il regista Taylor Sheridan, ma dovrebbe arrivare su Sky nella seconda parte di quest’anno.

Ed è stato proprio Yellowstone – con le sue colonne sonore epiche, le lande apparentemente infinite del Montana, le lotte tra cowboy e uomini di finanza come sinonimo dello scontro di ideali antitetici, la tradizione e il rispetto degli avi o la tecnologia e il mero profitto – a causare un aumento delle richieste dei ranch nel Montana, un’impennata del costo della vita e delle abitazioni. Conseguenza meno grave dell’odiata gentrification è stato però un interesse rinnovato sul suolo americano verso tutta quell’estetica vestimentaria, fatta di cappelli da cowboy e jeans con le frange, abiti floreali da abbinare a cappotti in montone alla maniera di Beth Dutton, figlia di John dai sentimenti assoluti, senza scrupoli con i nemici, fedele in maniera incrollabile verso gli affetti, padre incluso.

Ma soprattutto, un’ossessione verso i cowboy boots, che dal 2018 a oggi, secondo il sito di resale Poshmark e il suo capo del merchandising Chloe Baffert, hanno visto un aumento delle ricerche di circa il 335 per cento (lo ha detto in un’intervista del 2022 al New York Post). Così, la moda ha iniziato a prendere nota, vista tra l’altro la rilevanza del mercato nordamericano nelle economie della maison, che oggi è il primo al mondo: nella Fall Couture 2022 Chanel ha abbinato ai suoi tailleur in tweed gli stivali da cowboy; per l’Estate del 2023 Thom Browne ha fatto indossare agli uomini i chaps, i jeans usati di solito per cavalcare, con degli inserti con pelle e frange, scoperti per lasciar intravedere i glutei; Schiaparelli ha inserito dei jeans a gamba larga, con silhouette a carota, simili a quelli usati dai cowboy, nelle sue collezioni.

In tutto ciò, i marchi che producono storicamente abbigliamento in linea con lo spirito di Yellowstone hanno lanciato delle linee dedicate; come Wrangler, che nel 2021 ha battezzato la collezione dedicata proprio “Yellowstone”. Una collezione composta di giacche in denim con profili in montone, cowboy hat, camicie con il logo del ranch Dutton, per sentirsi come uno dei mandriani e rancheri al servizio di John. Ultimo ma non in ordine di importanza Ralph Lauren, che, nella sua sfilata dedicata alla Fall Holiday, e presentata a New York qualche settimana fa, fuori dal calendario ufficiale dei défilé, ha celebrato il Vecchio West. E chi meglio di lui, che da anni possiede un ranch in Colorado dov’è possibile anche pernottare?

Ma come ha fatto un fenomeno che nasce come geograficamente minoritario e limitato agli Stati Uniti d’America a includere in questa fascinazione anche chi non è nato in quelle terre? Molto hanno fatto serie tv e fenomeni musicali, che hanno amplificato quel messaggio, rendendolo non universale ma quasi. Basti pensare a Old town road, canzone di Lil Nas X uscita sul finire del 2018, ascrivibile al genere country/rap e che è divenuta una hit con risultati stellari (16 album di platino, 18,4 milioni di copie vendute, primo posto anche in Paesi non storicamente interessati al country, dalla Francia alla Germania passando per Australia e Danimarca).

Il merito sarà sicuramente del brano, nel quale il rapper cita anche una serie di brand nella migliore tradizione rap (“Cowboy hat from Gucci, Wrangler on my booty”) e del quale è stato realizzato un remix insieme a Billy Ray Cyrus, leggenda del country oltre che padre di Miley. Molto si deve però all’apporto rivoluzionario della stessa esistenza di Lil Nas X, classe 1999, orgogliosamente nero. Un dato che non è sfuggito alle radio country americane, molto conservatrici, che in occasione dell’uscita della canzone si rifiutarono di passarla, adducendo la scusa un po’ patetica e sicuramente antistorica di una mancata perfetta aderenza al genere country.

Lil Nas X funge così da araldo di una riappropriazione culturale del genere da parte della comunità nera tutta, perché – nonostante gli stereotipi – storicamente sono esistiti moltissimi cowboy afro-americani, nei ranch ma anche “in battaglia”. Nel 1866, infatti, venne istituito un reggimento della cavalleria degli Stati Uniti d’America nella guerra contro i nativi formato da afro-americani, che vennero poi ridefiniti proprio dai nativi “Buffalo Soldier”. Sì, quelli della canzone di Bob Marley. Di recente il Texas Monthly, magazine on line e cartaceo che racconta lo Stato omonimo, ha pubblicato un pezzo che racconta la storia di Daniel Webster Wallace, nato schiavo e diventato milionario grazie alle sue capacità da cowboy: alla sua morte, nel 1939, possedeva un ranch nel Texas occidentale che si estendeva per circa 35mila metri quadri di terra, e una fortuna da 22 milioni di dollari.

Riappropriarsi di quella parte di storia, spesso cancellata, è un atto rivoluzionario, e sicuramente dovuto alla comunità nera in tutto il mondo, non solo negli Stati Uniti. Ma parlando di comunità che hanno sempre avuto una voce minoritaria nel country e che però quel guardaroba hanno ogni diritto di adottarlo come chiunque altro, non si può non citare Orville Peck, che nel 2019 ha lanciato il suo album d’esordio, Pony, un album country in purezza, adottando lo stile de rigueur (pantaloni con frange, pelle, cappello e stivali da cowboy).

Un guardaroba che, però, vede le influenze del mondo Bdsm e di una vena fortemente omoerotica perché Orville Peck è dichiaratamente gay, in barba a un genere che non è mai stato noto per il suo progressismo. Nonostante le resistenze incontrate nel mondo del Grand Ole Opry – il palco principale della musica country, dove si tengono i People Choice Country Awards –, Orville Peck ha sfondato indubbiamente un soffitto di cristallo, trovando nel suo percorso non solo persone della comunità Lgbtqia+ per le quali quel messaggio era rilevante, ma anche inaspettati alleati. Nel suo ultimo album, Stampede, il singolo d’apertura Cowboys are secretly frequently fond of each other è un duetto con la leggenda novantunenne del country Willie Nelson.

Parlando invece di tv, oltre che di Yellowstone, quell’apparato estetico del country è stato al centro dell’ultima serie di Fargo, tra le più amate dalla critica di settore, uscita a ottobre del 2023, nella quale l’ex Mad Man Jon Hamm interpreta un cowboy fondamentalista del Minnesota, con il solito apparato di jeans, e con giacche in montone per sopravvivere ai climi rigidi dello Stato. Quella giacca – o almeno una assai simile – è stata indossata persino da Mark Zuckerberg in visita a Seoul questo febbraio, segnando un momento importante di passaggio da quel guardaroba da milionario della Silicon Valley copiato a Steve Jobs (al posto del lupetto raffinato c’era, però, la felpa da drop out).

Una fascinazione della quale siamo caduti preda anche noi europei e italiani per prossimità: negli anni della pandemia, tra le diverse attività ludiche per passare il tempo, c’è stata quella pazza idea di metterci a panificare come se dovessimo sostenere una famiglia di quindici persone, e ci siamo immaginati di farlo – o forse l’abbiamo fatto, considerate le temperature favorevoli e dispettose che a Milano si sono sperimentate durante quel periodo – con degli abiti in pizzo sangallo per lei, camicie a quadri da taglialegna del Vermont per lui, mentre in sottofondo passava Folklore di Taylor Swift, album del 2020.

Tutto questo immaginario estetico si chiamava “cottagecore”, un ambito contiguo a quello del country. E così siamo arrivati al 2024, quando Lana Del Rey ha annunciato l’album al quale sta lavorando da quattro anni: Lasso. Sarà un disco ovviamente country, anche se ci si aspetta un twist che guardi di più al “Southern gothic”, ossia quella particolare fusione di country, soul ed elementi gotici che alcuni chiamano anche “dark country”. A marzo è invece stato dato alle stampe Cowboy Carter: non è un album country, ma un disco di Beyoncé che si avvale di un’estetica country – e difatti diverse uscite pubbliche sono già firmate dall’amico Pharrell – per sconfessare barriere razziali e di genere, in pure stile Beyoncé.

Dell’impatto finale di Beyoncé sul country ha parlato Vanessa Friedman nel recente pezzo del New York Times dal titolo Beyoncé’s last fashion frontier. La fashion director sostiene che fino a oggi, pur avendo usato molto la moda, l’ha sempre fatto a suo vantaggio, costruendosi una sua identità, difficile da replicare per chiunque altro: gli abiti e i look creati insieme alla stylist Marni Senofonte sono in effetti più oggetti di scena utili alla performance che semplici ensemble da cui i fan possono prendere spunto. Almeno fino ad ora, con la sua svolta western. D’altronde, i jeans e i cappelli da cowboy ce li possiamo permettere quasi tutti. E, infatti, nel pezzo della Friedman si citano i dati di Lyst, portale di ricerca on line di abbigliamento e accessori, secondo il quale, rispetto allo scorso anno nello stesso periodo, la ricerca di prodotti correlati in qualche modo al mondo western è salita del 59 per cento.

Nello specifico, dalla data di uscita dell’album di Beyoncé, a marzo, c’è stato un aumento del 51 per cento nelle ricerche di cappelli da cowboy, 31 per cento di aumento delle ricerche di jeans Levi’s, un aumento del 57 per cento delle ricerche con all’interno la parola “cowboy”. Parlando invece di singoli brand, chi ha registrato un risultato migliore è stato Ganni (le ricerche sui suoi stivali da cowboy sono salite del 224 per cento tra marzo e aprile) e Y-Project con un 610 per cento di aumento di ricerche di jeans in stile cowboy, gli stessi indossati da Beyoncé su Instagram due mesi fa, quattro giorni prima della pubblicazione dell’album, rendendo ufficialmente il country una questione “mainstream”.

Tra le celeb del mondo della moda c’è già chi ha abbracciato il country non solo nel guardaroba, ma anche come stile di vita: sarà un caso, sarà l’amore che prende strade che non ti aspetteresti, ma durante la scorsa Fashion Week la modella Bella Hadid si è presa una pausa dalle passerelle, preferendo trascorrere il tempo con il suo nuovo fidanzato Adam Banuelos, cowboy non per moda ma per lavoro, che lei ha accompagnato a marzo a un rodeo in Texas, vestita come si confà alla compagna di un uomo che si guadagna da vivere, letteralmente, cavalcando.

Di recente Bella Hadid ha anche acquistato una proprietà a Fort Worth, proprio in Texas, per potergli stare più vicino, costantemente con cappello e stivali da cowboy, jeans con cinturone placcato e camicie decorate. Una decisione presa anche, sostengono i bene informati, per evitare i pericoli della sovraesposizione mediatica – nelle precedenti stagioni, in effetti, era onnipresente sulle passerelle e nelle campagne pubblicitarie – e che però le permette di vivere la sua “Beth Dutton era”, come la figlia di quel John/Kevin Costner di Yellowstone, interpretata dall’attrice Kelly Reilly, divenuta icona primigenia di stile.

Un’icona che non ha avuto bisogno che Pharrell o Beyoncé le mostrassero la via, ma che ha vaticinato la rivoluzione culturale di un genere che ha saputo rendersi nuovamente interessante, cambiando faccia, abbandonando gli estremismi, e includendo nella sua narrazione – un po’ obbligato dalle circostanze e dal lavoro di alcuni eccezionali artisti – fette di umanità che ne erano state storicamente escluse. Spingendoci a guardare verso nuovi orizzonti, a esplorare nuove frontiere, che siano nel Montana o dentro di noi poco importa, e farlo, ovviamente, con un guardaroba ad hoc.

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