di Antonella Boralevi (lastampa.it, 24 aprile 2018)
Per capire chi è davvero un politico, il mio consiglio è di guardarlo in televisione togliendo l’audio. Spegnendolo, proprio. Non sentire cosa il politico dice durante un talk show, solo osservarlo.Scrutare i suoi gesti, cogliere gli sguardi, le ombre, notare le pieghe inconsulte delle labbra, il tremito delle mani o delle ginocchia. Se il politico parlasse, questi segnali così rilevanti ci sfuggirebbero. Saremmo concentrati a cogliere le parole che dice. L’essenziale, che non sono i discorsi, lo perderemmo. La macchina della verità dei politici è, secondo me, la televisione. Ma in pochi, tra coloro che la politica la chiamano “mestiere”, lo sanno. Altrimenti, starebbero più attenti. Da 51 giorni, l’Italia cerca un Governo. E, da 51 giorni, i politici percorrono su e giù la Piazza di Montecitorio, e il marciapiede davanti al Senato, da alcune settimane anche la scalinata e la Piazza del Quirinale. Come? Alcuni avanzano da soli, altri infilati dentro un gruppetto di colleghi e portaborse. Sempre attenti a restare miracolosamente al centro. Il Re Sole e la sua Corte. Alcuni, la maggioranza, vengono avanti a piedi. Altri in bicicletta, in motorino, o scendono svelti dal taxi. Auto blu pochissime. È interessante guardare le facce dei politici mentre si avvicinano alla meta, cioè all’ingresso di Montecitorio o del Senato o del Quirinale. Girano impercettibilmente lo sguardo per capire dove si trovano i giornalisti. Noi non vediamo il contesto, ma è plausibile che, il più delle volte, questo sguardo di ricognizione scopra con rammarico che le telecamere e i microfoni e i telefonini e i taccuini sono assiepati intorno a qualcun altro. Osservate bene. Il politico in avanzamento rallenta il passo. Frena la giovanile baldanza. Magari si infila la mano in tasca per cercare il cellulare, o si volta per cercare qualcuno (che forse non esiste). Appena la folla dei cronisti lo nota e si avvicina, il politico indossa un sorriso lieto. Un sorriso che nulla ha a che fare con la situazione di certo non allegra in cui si trova il Paese. Ma è il tipo di sorriso che gli hanno detto è «rassicurante». Fa parte del pacchetto «onorevole». Lo trovi dentro la tessera di parlamentare eletto. Finalmente arrivano i cronisti. E il politico scompare felice nella selva. E che fa? Alcuni sorridono, chinano la testa in un grazioso inchino e sillabano «Grazie, grazie», dopo di che entrano nel portone. Tutti compiaciuti della bella figura appena fatta: discrezione e educazione. Altri si fermano, prendono un respiro, gonfiano il petto. E parlano. Parlano come se fossero i detentori dell’unico Verbo, nel senso del Vangelo. Ma è un piccolo cedimento alla vanità che subito controllano. Alla terza frase di queste interviste in piedi, i politici scuotono la testa, come a chiedere scusa. Allontanano la selva dei microfoni che tanto avevano agognato con un gesto veloce della mano. Ma in favore di telecamera. E poi salutano e si allontano con un passo ancora più svelto e brioso. Che sta a significare «Elettori, io sono uno che lavora per voi, guardate come mi sto dando da fare, come corro al lavoro». È un red carpet che a me sembra tragico, più che triste. Osservatelo e poi ditemelo.