di Matteo Castellucci (linkiesta.it, 28 gennaio 2023)
La sua patria non l’ha dimenticato, anche ora che è nelle grinfie dei nemici. I russi l’hanno rapito durante la ritirata da Kherson. Forse come rappresaglia, forse per ottenere un riscatto. Hanno ipotizzato di usarlo come contropartita in uno scambio di prigionieri. È costretto a girare video propagandistici per il Cremlino, che lo schiavizza nelle campagne social, ma la sua frustrazione è evidente. Il ministero della Difesa ucraino ha promesso di vendicarlo.
Non è un comandante, o un pilota, e nemmeno un leader politico, ma un animale. Un procione, per l’esattezza. Prima di lasciare la città, lo scorso novembre, le truppe nemiche non solo hanno svuotato il museo, nelle più gravi razzie d’arte dai tempi dei nazisti, ma persino lo zoo locale. Hanno portato via due lupe, alcuni pavoni, un asino e un lama. E sette procioni. Una «farsa», l’ha definita il Washington Post, arrivata dopo il furto delle spoglie del generale Grigorij Potëmkin, amante della zarina Caterina. Gli animali sono ricomparsi in alcuni video girati in Crimea. «È una missione umanitaria», si dice in uno di questi, cioè la falsa promessa di sottrarli alle bombe per restituirli un giorno alla struttura d’origine.
«Per noi non hanno valore zoologico» continua il filmato. «Abbiamo settantacinque procioni, potremmo mangiare carne di procione. Sono in buone mani». L’ironia di dubbio gusto sul macellare gli ospiti del parco non è quella di un animalista. Di fronte alle immagini, in cui si vede un orsetto lavatore venire sballottato fuori da una scatola, il ministero della Difesa di Kyjiv ha reagito: «Gli occupanti hanno rubato di tutto da Kherson: dipinti dalle gallerie, reperti antichi, manoscritti storici dalle biblioteche, però il loro bottino più prezioso è un procione dello zoo. Rubate un procione e morite».
Non è stata un’evacuazione, ma l’ennesimo furto. In effetti, i russi hanno fatto il possibile per ribaltare lo sfottò degli ucraini, per rendere cioè il procione rapito un asset. Quando è ricomparsa, infatti, la bestiola lo ha fatto nelle nuove, e inconsapevoli, vesti di uno strumento di propaganda. Il 12 novembre, a pochi giorni dalla rotta di Kherson, la priorità dell’esercito dovrebbe essere una riorganizzazione logistica nella regione, invece apre un canale Telegram monotematico. Si documentano le condizioni dell’orsetto, adottato da un reparto di paracadutisti che gli hanno cucito una magliettina a righe simile a quelle indossate da loro.
Il canale Rossija 1 (l’equivalente russo di Rai 1, con cinquanta milioni di spettatori) gli dedica un servizio televisivo. È l’inizio della fama. Il presentatore lo definisce «piccolo combattente». Dopo un sondaggio on line, i soldati l’hanno ribattezzato «Kherson», come la città cui l’hanno strappato, e davanti alle telecamere assicurano che li motiva. «Ci sprona a nuove vittorie». Come è da chiarire. Nel girato lo si vede sbucare da uno zaino militare e, non troppo entusiasta, venire trasportato lungo il fronte in una gabbietta. «Quando pensi che la tv russa non possa più sorprenderti, producono una cosa del genere», ha commentato il giornalista della Bbc Francis Scarr.
La bestiola, suo malgrado, diventa la mascotte del battaglione. Lo riproducono sulle divise, ma la viralità sui social viene spesa soprattutto per raccogliere fondi attraverso donazioni su Internet. Centinaia di migliaia di rubli, in un caso tre milioni (circa quarantamila euro). Come ringraziamento, ci sono le foto dell’equipaggiamento acquistato con quei soldi. Per esempio, un set di tute invernali e cento paia di calze termiche. Le didascalie suonano cringe nella finzione che le abbia scritte l’animale, non un social media manager. Con un decreto speciale, i russi lo avrebbero persino ammesso all’Università di Melitopol, nella facoltà di Sicurezza informatica.
Su Telegram, ogni giorno, quasi ottantamila follower seguono gli spostamenti dell’animale e della “sua” unità. «Non mi hanno torto un cappello» recita un messaggio a corredo di un video in cui, in realtà, il procione sembra visibilmente stressato. Non può mancare la foto sotto l’albero per gli auguri del Natale ortodosso, il 6 gennaio. Gli vengono mandati cappellini su misura, filastrocche e disegni dei bambini. È la prova che l’operazione è riuscita: l’orsetto di nome Kherson è ormai un’arma propagandistica del Cremlino. In patria, a suo modo, è una star. Invia addirittura un videomessaggio a un torneo di ginnastica ritmica a Shakhty, nella regione di Rostov.
Uno dei momenti più surreali, ma pure più organici alla narrazione imperialista che viene convogliata persino così, è un annuncio in pompa magna del 10 gennaio. Quel giorno, in Crimea, l’orsetto riceve una vaccinazione contro la rabbia e la cittadinanza russa. Nel video si nota la riluttanza dell’animale, quella tipica di fronte a un veterinario. Sembrano posticci i documenti che riceve, con la sua foto su un passaporto di carta. «Questo è probabilmente uno degli eventi più importanti della mia vita!», è il virgolettato fabbricato per l’occasione.
Gli ucraini, che nella comunicazione tramite meme sono maestri, su Twitter hanno ipotizzato un’operazione stile Salvate il soldato Ryan per liberarlo, con il profilo peloso photoshoppato sopra i volti dei suoi carcerieri. Hanno esultato quando Kherson, in uno dei filmati, ha morso sul dito uno dei capi dell’amministrazione militare nemica. Come dire, è ancora uno dei nostri. A un certo punto, un prigioniero di guerra russo ha chiesto di essere scambiato con il procione.
Anche Kyjiv ha una sua icona: il jack russell Patron, premiato dal presidente Volodymyr Zelensky per le vite che ha salvato scovando centinaia di mine grazie al suo fiuto. Anche lui è una di quelle che in giornalese vengono apostrofate “stelle del Web”. Kherson ha un vantaggio. I procioni, negli ultimi anni, hanno colonizzato i nostri feed. Saranno le movenze goffe, le zampe che ricordano le nostre mani, la corporatura chubby in anticipo sulla body positivity: le analisi si sprecano. Anni fa era diventato famoso Tema, un altro procionide, soprattutto per la sua stazza extra-large. Tra l’altro, i procioni sono animali selvatici e non sono fatti per vivere nelle case. Né sono addomesticabili, a giudicare da come quello ucraino ha azzannato il russo che provava a toccarlo.
Se sorridiamo di fronte a contenuti rivedibili, però, rischiamo di cadere nella trappola di Mosca. È esattamente quello lo scopo: rendere cute la guerra. Umanizzarla. Le gif buongiorniste, il lessico infantile e apparentemente innocuo convivono nello stesso feed delle operazioni militari, dei bombardamenti e del volo dei droni. Un hate speech che glorifica la macchina bellica russa, legittima le sue pretese antistoriche su una nazione sovrana e ripete una contro-narrazione falsificata al racconto dei media occidentali (per esempio sulle ruberie d’arte), in una coabitazione vicina a un matematico cinquanta-e-cinquanta. L’ultimo post, in ordine di tempo, celebra un camion ucraino fatto saltare da un obice da 152 millimetri.