di Stefania Carini (linkiesta.it, 17 marzo 2020)
Il più grande spettacolo durante la quarantena. Come per molti altri aspetti del nostro vivere, il Coronavirus ha creato un sussulto nei media. Prima fase: show senza pubblico, senza ospiti, cinema chiusi, film non usciti, set bloccati, concerti annullati, album posticipati. Seconda fase: il forte aumento di pratiche di fruizione condivisa e un’esplosione di materiale prodotto tanto dai noti quanto dagli anonimi.
Tv e Internet si fondono e si confondono, come teorizzato da molti ma come mai visto prima. Per molti questa è l’era del «vedo quel che voglio quando voglio», ma non è mai stato del tutto così. Altrimenti Sanremo non te lo puoi spiegare. E adesso appare ovvio. In questo isolamento forzato, si cercano programmi, film e serie da vedere tutti insieme: basta fare play in contemporanea sul proprio dispositivo, e poi chattare. Sapere che qualcuno oltre a te in quello stesso momento sta guardando la stessa cosa: è la cara vecchia tv, quella che unisce e crea identità. Serve in questo momento. Certo, non è così facile vedere un film o una serie senza rimanerne turbati: stanno tutti così vicini e possono uscire quando vogliono. È un altro mondo di cui abbiamo nostalgia, eravamo noi solo qualche settimana fa.
Allo stesso tempo, stupisce l’incredibile mole di materiale prodotto in questi giorni. Meme su meme. Video sui balconi. Video buffi di gente in casa. Concerti di cantanti e interviste di conduttori su Instagram. Jovanotti con Gianni Morandi a parlare di canzoni e Guerra e pace su Instagram, ma sembra uno show di Raiuno. Fabio Fazio che va avanti, idem Liorni con Italia sì! di domenica pomeriggio: senza pubblico, quasi senza ospiti, tutti collegati anche in streaming o in stile videochiamata. Transmedialità, multischermo. E inglobando spesso tutti i video prodotti da utenti anonimi. Uno show collettivo. Tutti chiusi in casa moltiplichiamo gli schermi, le visioni, le finestre delle immagini. Erano sommovimenti già in atto, ma che adesso esplodono. I media tradizionali sono di nuovo centrali, ma inglobano elementi e contenuti e tecnologie del Web. E il Web vuole essere un po’ più televisione, inglobando la condivisione di gruppo in diretta.
Il 14 settembre 2000 un programma come il Grande Fratello cambiava per sempre la nostra percezione di tv, privacy, vita sociale, esibizionismo. L’11 settembre 2001 l’attacco alle Torri Gemelle cambiava per sempre la nostra percezione di guerra, sicurezza, interconnessione, paura. Oggi siamo di fronte a un inconsueto mix. Siamo tutti chiusi in casa, e condividiamo con tutti brandelli di quotidiano per sentirci meno soli e avere meno paura. Siamo di fronte a un evento globale, ma senza immagini dell’evento stesso. Il virus non è come le Torri che crollano, non si vede. Il virus svuota le città e ci mette le mascherine, ma poi? Il virus attacca non con una mossa choc in un giorno solo, ma in molti e molti giorni, è lento e progressivo (è matematica: lo stiamo contenendo, ma è difficile dargli un’immagine). È un evento quasi “vuoto”, costringe alla paralisi ma non del tutto. E allora questo vuoto, dopo qualche giorno di incredulità, è stato riempito di immaginario. Dirompente. Abnorme. Basso o alto non importa.
Il flusso travolge la sospensione che stiamo vivendo. Speriamo duri, durante questo lungo periodo di quarantena: l’immaginario ci serve. L’immaginario unisce e lenisce. È la nostra casa collettiva, quella che nessuno di noi possiede ma che abitiamo tutti insieme. Quella dove possiamo vagare liberi e ritrovarci ancora. È la nostra intelligenza collettiva, culturale, sentimentale e intellettuale. È il nostro liquido amniotico. Possiamo fermare tutto o quasi, rallentare tutto o quasi, ma non possiamo e non dobbiamo bloccare l’immaginario. Per fortuna. Anche questo conta e conterà per il dopo.