di Federica Fantozzi (huffingtonpost.it, 16 luglio 2020)
Il finanziamento pubblico all’editoria da cancellare a tutti i costi. La stampa che “difende un sistema”. Tg e giornali locali da “monitorare” per capire come suddividono gli spazi. L’Ordine dei giornalisti da abrogare. I medesimi definiti “sepolcri imbiancati”, “verginelle” che si offendono, “sciacalli”, quando non “puttane e pennivendoli”. E gli slogan, tipo “l’unica stampa buona è quella estera”.
Dall’ex sottosegretario con delega all’Editoria Vito Crimi al Guardasigilli Alfonso Bonafede, fino ai due golden boy Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, e poi giù per li rivi e per tacer del Fondatore, il rapporto dei 5 Stelle con i giornalisti è sempre stato – eufemismo – conflittuale. Condito da sussurri periodici di black list dei cronisti cattivi cui sbattere il telefono in faccia, di campagne social mirate contro i più sgraditi, di larvate minacce a Tizio o Caio. Un’ostilità verso la categoria magari poco simpatica, ma lineare. Se non fosse che poi li candidano. E spesso li eleggono.
Non è tanto il caso di Ferruccio Sansa, neo-sfidante di Giovanni Toti (anche lui del mestiere) in Liguria, che l’eventuale poltrona da governatore se la suderà e che proviene da una testata – il Fatto Quotidiano di Marco Travaglio – che per i grillini rappresenta l’eccezione a conferma della regola. Ma gli altri: Gianluigi Paragone, una carriera targata Lega, ex direttore della Padania, poi vicedirettore di Libero e di RaiDue, esuberante conduttore de La gabbia, viene eletto senatore (sconfitto nel collegio a Varese, ripescato nel listino proporzionale). Superfavorito per la presidenza della commissione d’inchiesta sulle banche, lancia in resta per “fare chiarezza” sulla vicenda Etruria e per tutelare i piccoli risparmiatori, già pronto a convocare Consob e Bankitalia, si infrange insieme all’alleanza gialloverde. Espulso da M5S per i no alla legge di bilancio e al Governo Conte 2, oggi siede nei banchi del Gruppo Misto e lavora al suo nuovo movimento politico. Mission: uscire dall’euro e dall’Ue.
Non dotato di purissimo pedigree pentastellato è pure Emilio Carelli, ex Tg5 berlusconiano, l’uomo che mise su da zero il telegiornale di Sky targato Rupert Murdoch (altro impresentabile della galassia grillina). Moderato, istituzionale, più lato poteri forti che lato popolo, si lanciò in questa “bella avventura”: eletto alla Camera, in ballottaggio per diventare terza carica dello Stato e di recente per l’Agcom, è rimasto a mani vuote. Un po’ meglio è andata a Primo Di Nicola, una vita nel Transatlantico di Montecitorio per l’Espresso e poi direttore del Centro, anche lui folgorato sulla via di Beppe Grillo. Senatore e vicepresidente della commissione di Vigilanza, con abbastanza tempo libero da diventare – per l’edizione speciale di un giorno – direttore dell’Unità (che non è più nelle edicole da oltre due anni, vegetando in un limbo surreale tra creditori infuriati e giornalisti senza stipendio né ammortizzatori sociali). La stessa Unità contro cui il suo partito ha condotto una guerra senza esclusione di colpi. Di Nicola ha replicato con disinvoltura: «Ho accettato per spirito di servizio e per una buona causa. Cosa ha detto il M5S? Ho avvertito Crimi». A quanto pare diventato afono.
Le (5) stelle del giornalismo non brillano per visibilità politica neppure al Parlamento Europeo. Dove è infine approdata l’ex Iena Dino Giarrusso al termine di un percorso tortuoso: sconfitto alle elezioni politiche nel collegio di Roma, mancata la nomina del cda Rai, consolato con un incarico nel promettente Team del Futuro (di cui Carelli è “facilitatore”). Non eccessivamente pervenuta – almeno per il momento – l’emiliana Sabrina Pignedoli, giornalista freelance esperta di mafia e adesso eurodeputata. Insomma, il senso del MoVimento per i giornalisti è ondivago. Non li amano, ma li candidano. Si adoperano per tagliare i fondi alle redazioni, ma suppliscono alla busta paga con il reddito di cittadinanza. Nelle more dell’estinzione del loro mestiere li eleggono nelle istituzioni. Dove però spariscono. Un bel corto circuito. Promoveatur ut amoveatur? Viene in mente quel vecchio fumetto americano pubblicato su Linus, in cui la moglie chiede al cinico “Wizard of Id”: «Ma perché ordini le prugne flambé se le detesti?». Risposta: «Adoro vederle bruciare».