Il marketing dell’ignoranza

Ph. Vince Fleming / Unsplash

di Paolo Guenzi* (linkiesta.it, 17 febbraio 2025)

Il nostro è un Paese pieno di problemi, ma dispone anche di molte risorse. Fra queste, una delle più straordinarie – eppure, sorprendentemente, quasi mai citata – è la capacità di concepire, realizzare e vendere ignoranza. La mia opinione, che cercherò di illustrare e supportare in questo lavoro, è che in questo campo siamo fra i migliori del mondo, non solo come creativi, indefessi produttori ed efficientissimi distributori, ma anche come avidi, insaziabili consumatori.

È inutile negarlo, l’ignoranza da noi piace, e molto. E fa anche fare un sacco di soldi. Procura fama, notorietà, potere, ricchezza. Ma, attenzione, non tutti sono capaci di crearla e diffonderla. Ci vuole un talento particolare, un articolato insieme di strumenti e un sofisticato bagaglio di tecniche guidate da una ferma volontà e da un’assoluta fede nel suo valore.
In altre parole, ci vuole uno strutturato approccio di marketing, cioè un mix di attività di creazione del “prodotto” ignoranza, nonché di sua comunicazione e distribuzione al “pubblico” (gli italiani). Tutto questo, naturalmente, a un “prezzo” (salato) che consiste nell’impoverimento del bagaglio culturale della popolazione, che va peraltro di pari passo, in un perverso meccanismo di reciproca alimentazione, con il collasso morale e il degrado civile del nostro disgraziato Paese.
L’ignoranza un tempo era fonte di imbarazzo, di vergogna, di senso di inferiorità. Oggi in molti casi, e il nostro Paese ne è un esempio emblematico, la situazione si è ribaltata. L’ignoranza viene spesso sbandierata con orgoglio, rivendicata sfacciatamente. Non è più solo giustificata e difesa, ma anzi promossa come un valore sociale. Molte persone sono fieramente ignoranti, ostentano la loro ignoranza come una dote o la usano come giustificazione per attuare comportamenti discutibili.
Un posto d’onore, in questo processo di galoppante affermazione del marketing dell’ignoranza, va ai politici e ai pubblici amministratori, nonché al sistema dei mezzi di informazione. Ma non preoccupatevi, c’è posto per tutti: senza neppure impegnarsi troppo, ciascun cittadino può fare la propria parte e contribuire attivamente, sia come produttore sia come consumatore, al trionfo dell’ignoranza. L’Italia è il paradiso delle micro-imprese, dell’imprenditorialità diffusa, delle aziende unipersonali, dei liberi professionisti e delle partite Iva… e questo vale anche per il prodotto ignoranza.
Nello Stivale c’è una straordinaria vitalità del mercato dell’ignoranza, che genera in milioni di persone una pervasiva capacità di idearla, produrla, promuoverla, comunicarla e distribuirla in modi accattivanti. Nel marketing dell’ignoranza il nostro Paese registra una quasi inarrivabile imprenditorialità diffusa e, prerogativa rarissima, addirittura una produttività crescente. In questa prospettiva, le nuove tecnologie e soprattutto i social network offrono opportunità formidabili a qualunque individuo, soprattutto a quelli più ignoranti, di diventare sempre più protagonisti.
[…] I social media hanno indubbiamente vari pregi. Il principale, probabilmente, consiste nel tenere impegnate torme di potenziali serial killer in farneticanti aggressioni verbali contro bersagli umani perlopiù miti e di buon senso, costretti a subire loro malgrado turpiloqui immotivati. Ho sempre avuto fiducia nell’intelligenza e nella ragionevolezza del genere umano. Ma ho cominciato seriamente a dubitarne da quando ho iniziato a partecipare a riunioni condominiali.
Più di recente le mie esigue speranze in proposito sono state quasi completamente azzerate dalla constatazione che numerosi comportamenti attuati nei social network superano di gran lunga quelle vette di idiozia che ritenevo insuperabili. In particolare, la smodata, spasmodica smania di apparire sempre e comunque, e di trovare un senso alla propria esistenza affiorando per un istante dall’oceano di invisibilità nel quale molti individui sono confinati dalla propria inconsistenza, porta a compiere gesti che sono incompatibili con l’affermazione secondo cui l’Homo Sapiens sarebbe un essere dotato di intelligenza.
Un fenomeno emblematico, al riguardo, è quello per cui teppistelli e delinquenti conclamati postano sui social network foto, video o comunque testimonianze delle loro malefatte, e in tal modo non solo si autoaccusano, ma forniscono agli inquirenti anche le prove per incriminarli. Riassumiamo: tu vai, per dire, a sfasciare a sprangate una sfilza di auto in sosta, oppure compi qualche altro assurdo atto vandalico, ti filmi mentre compi quell’ardita impresa nel silenzio e nel buio della notte, e poi pubblichi le immagini affinché tutti possano sapere che l’ignoto autore di quel reato sei proprio tu. Geniale, no? Si potrebbe pensare che una simile dimostrazione di stupidità rappresenti un’eccezione, e che possa essere compiuta solo da individui con problemi psichici di una certa rilevanza. Ma non è così. Pare si tratti di un fenomeno diffuso. […]
In una società così profondamente e pervasivamente dominata dall’apparire e dalla sovra-comunicazione, qualsiasi dote, abilità, conquista, risultato, non conta in sé ma vale solo nella misura in cui viene mostrato ad altri. Non c’è gratificazione senza condivisione. Ciò comporta anche la morte della riservatezza. Un corollario di questo fenomeno è il successo dell’eccesso: moderazione, sobrietà, senso della misura, garbo sono soppiantati dall’estremizzazione dei messaggi, strada maestra per uscire dall’anonimato. Le esagerazioni smodate diventano la principale scorciatoia per fuggire dall’inconsistenza e dall’emarginazione, condizioni che fisiologicamente e comprensibilmente ogni essere umano vorrebbe cercare di evitare.
Un tempo le persone accettavano la propria insipienza e la propria ignoranza. Molti probabilmente ne soffrivano, e cercavano di trovare un modo per uscirne, più o meno meritevole e di successo. Ma oggi è diventato molto più difficile convivere con le proprie frustrazioni, perché milioni di individui ci sbattono in faccia, continuamente, i loro presunti successi, gioie artificiali create con Photoshop, patinate realtà virtuali consolatorie per chi se le costruisce (spesso auto-ingannandosi e imbrogliando gli altri), ma capaci di amplificare il senso di sconforto, delusione e fallimento di chi è meno sfacciato.

*da: Il marketing dell’ignoranza. Un prodotto Made in Italy di straordinario successo, Egea, Milano 2025

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