Il magnifico fallimento di Oliviero Toscani come assessore alla creatività

di Giacomo Di Girolamo (linkiesta.it, 14 gennaio 2025)

Però, che coppia, quella coppia. Ne parlavano tutti, li cercavano tutti. Vittorio Sgarbi e Oliviero Toscani. Ci fu un periodo – sembra un secolo fa, era il 2008 – in cui a un certo punto la sonnacchiosa Salemi, in provincia di Trapani, si ritrovò al centro delle cronache politiche, mondane, culturali. Con punte di euforia mai viste. Grazie a quei due. Vittorio Sgarbi e Oliviero Toscani.

Il primo divenne infatti sindaco di Salemi, dal 2008 al 2012, e il secondo per due anni, un periodo breve e tormentato, fu il suo assessore «alla creatività, alla comunicazione e ai diritti umani». Successe di tutto, in quegli anni lì, a Salemi, festival, rassegne, ospiti internazionali. Finì tutto con molti debiti e troppe cose non chiare, tanto che poi il Comune venne sciolto per mafia, cicatrice che per Sgarbi sanguina ancora.

Ma andiamo con ordine. Oliviero Toscani, recentemente scomparso, tra le sue tante esperienze, ne vanta una delle più singolari: il breve ma intenso periodo come assessore nel Comune di Salemi, in provincia di Trapani, al fianco di Vittorio Sgarbi, allora sindaco. Una delega, la sua, alla creatività, e non solo. Una parentesi politica che Toscani stesso ha definito «un magnifico fallimento».

Nel 2008, Toscani decise di seguire Vittorio Sgarbi nella sua avventura politica in Sicilia. Sgarbi, con il sostegno di Pino Giammarinaro, ex deputato della Democrazia Cristiana e figura tanto discussa quanto influente in città – per capirne il carattere e il potere, bastano i due soprannomi: Pino “Manicomio” e “Sua Sanità” –, fu eletto sindaco di Salemi a furor di popolo. Toscani, affascinato dall’idea di rigenerare un piccolo centro con il suo estro e la sua visione, accettò l’incarico di assessore, con l’obiettivo di portare innovazione e cultura: «Vedrete» era l’annuncio «tra poco si parlerà più della piccola Salemi, che della grande Milano».

Le idee non mancavano: il museo della mafia, che sembrò una provocazione, per la città che aveva dato i natali ai potenti esattori di Cosa Nostra, i cugini Nino e Ignazio Salvo. Il festival delle religioni, con Moni Ovadia direttore. Le case distrutte dal terremoto del Belice del 1968 da vendere a un euro, con una lista di persone interessate che il fotografo sbandierava, da Massimo e Milly Moratti a Lucio Dalla, da Peter Gabriel a Renato Brunetta, e che suscitava entusiasmi in città: tutti sarebbero andati a vivere lì, pure la mitica signorina buonasera Nicoletta Orsomando.

L’idea era semplice: i danarosi vip avrebbero comprato i ruderi al prezzo simbolico di un euro, impegnandosi però a ristrutturare gli edifici. «Altro che Pantelleria, saremo noi la meta estiva dei vip», gongolava. A Salemi però quel progetto, come tanti altri, non è mai andato in porto; in compenso la promozione, se vogliamo chiamarla così, è stata copiata da altri Comuni siciliani con successo.

E poi, ancora, Salemi nominata Capitale italiana del Tibet. E il progetto “Terremoto”, per insegnare la creatività ai giovani under 36 di Salemi, dalla fotografia al design, e le mostre degli artisti internazionali dentro le cantine. E poi, il colpaccio: la collezione Kim, una raccolta di cinquantacinquemila videocassette raccolte a New York da un emigrato nordcoreano, una delle più grandi collezioni al mondo di film rari. Il titolare, Yongman Kim, chiusa la sua attività, si fece convincere da Sgarbi e Toscani e donò la sua raccolta al Comune di Salemi per creare un centro cinematografico (dopo anni di abbandono, i cinquantacinquemila film hanno fatto il viaggio inverso, sono tornati a New York e sulla loro odissea è stato realizzato anche un docufilm).

Tuttavia, l’esperienza si trasformò presto in un confronto diretto con un sistema che Toscani non esitò a definire «impregnato di colla mafiosa». Fu lui, infatti, a puntare il dito contro Giammarinaro, che considerava il vero uomo forte dietro l’amministrazione. «Lo chiamavo Giamburattinaio, perché muoveva i fili di tutto» disse in seguito Toscani, raccontando il clima opprimente di quell’esperienza.

Tra gli episodi più emblematici, Toscani ricordava il cosiddetto «patto del tovagliolo», un accordo scritto a mano su un tovagliolo di carta, firmato con Sgarbi, in cui il critico d’arte s’impegnava a prendere le distanze da Giammarinaro. Ma quell’accordo, secondo Toscani, fu dimenticato in pochi giorni. «Sgarbi inseguiva Giammarinaro per consolarlo, mentre io lo affrontavo in Giunta» racconterà poi il fotografo, descrivendo la sua frustrazione nel cercare di portare avanti un lavoro che riteneva impossibile.

Toscani, deluso e amareggiato, arrivò a considerare il suo nemico non solo nella figura di Giammarinaro, ma nell’intero contesto che lo circondava: «Il mio nemico era il paese di Salemi». Il divorzio da Sgarbi fu traumatico: «Sei ingeneroso, hai problemi di protagonismo» lo accusò il Sindaco. «Qui mi vedono tutti come un disturbatore» replicò lui, raccontando della contestazione, ad esempio, dei commercianti, quando aveva deciso di chiudere al traffico una piazza del centro.

Come gli 883, la coppia scoppiò. L’amministrazione di Salemi, guidata da Sgarbi, continuò per qualche anno, ma senza la verve iniziale, e si concluse con un evento clamoroso: lo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose. Il fotografo ebbe un ruolo cruciale nelle denunce che portarono alla decisione del ministero dell’Interno, ma l’intera vicenda si rivelò una ferita aperta per lui: «Pensavo di poter fare un lavoro eccellente, ma ci siamo dovuti fermare».

Giammarinaro, assolto in un processo per mafia, si ritrovò comunque sorvegliato speciale e destinatario di un provvedimento di sequestro di beni per trenta milioni di euro. Ma Toscani non risparmiò critiche nemmeno ai siciliani che, a suo dire, accettavano passivamente il sistema mafioso: «Qui chi sbaglia dice tre pater noster e un ave gloria e viene assolto». E ancora: «In Sicilia non puoi realizzare nulla senza estenuanti mediazioni».

Nonostante il suo affetto per la bellezza della Sicilia, Toscani criticava apertamente i suoi abitanti per il modo in cui trattavano il loro patrimonio culturale e naturale: «I siciliani non hanno alcun merito per la bellezza che li circonda. Quando possono, infieriscono contro la loro terra» disse, ricordando gli scempi nella ricostruzione post-terremoto del Belice. Eppure, non era tutto pessimismo. Toscani riconosceva anche la straordinaria intelligenza di molti siciliani, soffocata però da un sistema che impedisce il loro pieno sviluppo: «La Sicilia è una discarica di intelligenze: trovi persone geniali, ma non riescono a emergere».

Dietro le parole dure di Toscani si celava però una profonda speranza per questa terra: «Se parlo così è perché vivo di speranza», disse. E immaginava un racconto della Sicilia attraverso le facce della sua gente, un progetto che non aveva mai smesso di sognare e che non ha avuto il tempo di realizzare. Chissà, sarebbe stato un altro magnifico fallimento.

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